“Davvero non possiamo far nulla per impedire questa nuova guerra? Perché restare inermi di fronte a queste nuove sofferenze del popolo curdo?”. Sono le prime parole di Alessandro Orsetti, padre di Lorenzo che qui tutti i giovani chiamano con sorprendente familiarità Orso, entrando nella grande aula dell’ateneo di Siena.
Moltissimi giovani, e molti docenti, sono assiepati nell’aula, aderendo all’appello per fermare il massacro di quel popolo. Sono qui per riascoltare le parole del giovane morto per combattere i terroristi dell’Isis. Alessandro Orsetti, il padre- testimone, porta al collo una kefiah gialla, rossa e verde, cioè dei colori del Kurdistan. “Una giovane turca, che portava un fazzoletto come questo per le vie di Ankara, è stata arrestata e s’è fatta un sacco di anni di prigione. Anni nelle galere di Erdogan – dice – e queste sono cose che accadono, ogni giorno, in quel regime”.
Lo sappiamo e troppo spesso lo dimentichiamo. Se lo dimenticano, soprattutto, gli stati europei che continuano a concedergli credito e a vendergli armi. Le sue parole lo confermano: in quelle galere sono detenuti molti giornalisti, molti oppositori del regime, molti cittadini curdi.
E’ arrivato da Firenze accompagnato dalla moglie, Annalisa. La loro è diventata una sorta di missione, forse per il bisogno di rispondere con un nuovo impegno civile alla sofferenza per la scomparsa del figlio. Per non rendere vano quel gesto. Ripete ad alta voce, di fronte alla comunità accademica, i contenuti della lettera che la famiglia ha inviato al governo e alle istituzioni nazionali e regionali, dopo l’attacco della Turchia alle forze curde: “Ora, subito, dobbiamo fermare questo attacco ai curdi e poi, dopo, sarà necessario trovare una soluzione pacifica per questa zona del Medio Oriente”. Sono passati già molti mesi da quando il loro figlio Lorenzo è stato ucciso dai miliziani dell’Isis, mentre militava come volontario nell’esercito popolare curdo. Solo Dio sa quante lacrime, da allora, abbia versato questa famiglia. Lacrime che dettano impegno: “Se abbiamo pianto per Lorenzo, riconoscendo la bellezza del suo gesto, davvero non vogliamo fare nulla per impedire questa nuova guerra?”.
Nel corso dell’intervista, che diventa una conversazione corale, i giovani vogliono capire i tanti perché di questa nuova “sporca guerra”. Chiedono al padre di Orso di spiegare i motivi della tragedia del popolo curdo e anche di raccontare che cosa ha spinto il figlio Lorenzo a una scelta così radicale. Risponde: “Ci sono momenti in cui si deve avere il coraggio di fare delle scelte. Ognuno è libero di scegliere la propria strada. Lui ha scelto di stare accanto a quel popolo e non solo perché i curdi erano perseguitati ma anche perché era attratto dalle forme che avevano scelto per stare insieme. Forme di una democrazia davvero partecipata, dove non vi era una separazione tra stato e cittadini. Una democrazia che stava nascendo davvero dal basso. Senza differenze di genere. Era una scelta tutt’altro che militarista. Le armi sono state imbracciate da lui e da suoi compagni solo per la necessità di difendersi. E anche per difendere noi dal terribile attacco dei terroristi dell’Isis. La sua è stata una scelta etica e politica”.
Alessandro Orsetti lavora come educatore in una comunità dell’area fiorentina. Da sempre predica e pratica la non violenza. Eppure ha capito la scelta del figlio, fino alla triste fine e ai funerali voluti in forma pubblica, con i partigiani dell’Anpi in prima fila. Quei partigiani che avevano dato una tessera di iscritto onorario al giovane combattente. La madre Annalisa è in mezzo agli studenti. Mi rimbalzano alla mente le parole che aveva dettato proprio al foglio dei partigiani: “Le parole costano poco e se ne fanno tante, lui ha preferito i fatti, decidendo di stare vicino agli ultimi, di fare qualcosa per loro. Per aiutare i tanti orfani, i feriti, le donne …per aiutare il popolo martoriato a resistere e a combattere contro la ferocia d’uno stato tirannico e seminatore d’odio e di morte”. Quello che accade in quella terra straziata è raccontato, nel pomeriggio senese, dalle immagini che hanno scelto i giovani aderenti a Link, l’associazione studentesca che insieme a un gruppo di docenti ha organizzato l’incontro. Le immagini inviate da Lucia Goracci, la giornalista Rai che ha mostrato la difesa di Kobane, L’appassionata canzone di David Riondino e i graffianti segni di Zerocalcare sulle donne curde. L’intervista al rettore dell’università libera di Rojava tratta da un documentario girato da Marco Rosi e da un gruppo di studenti della comunità curda del Monte Amiata. E poi i collegamenti skype con i rappresentanti dell’Ong Stella Rossa impegnati a raccogliere fondi e viveri da inviare alle popolazioni colpite dai bombardamenti. Nell’incontro è stata anche sollecitata una pronta risposta degli atenei italiani all’appello delle Università del Rojava e di Kobane, pubblicato integralmente da il manifesto, per fermare la nuova “cospirazione contro il nostro popolo in resistenza”.
Sono però le parole emozionate, eppure lucide, di Alessandro Orsetti a far riflettere e discutere l’assemblea: “Mio figlio paventava già, allora, il rischio che gli americani abbandonassero i curdi alla loro sorte. Questo è, purtroppo, accaduto. Non ci possiamo aspettare dall’America, con l’attuale amministrazione, un coinvolgimento per una causa come quella curda”. Per Alessandro Orsetti adesso occorre farsi sentire, alzare la voce, informare i cittadini, essere davvero accanto ai curdi. “Se abbiamo pianto Lorenzo – chiude con commozione – riconoscendo la bellezza del suo gesto, davvero non vogliamo far nulla per impedire questa guerra? Molti hanno pianto Lorenzo. Lo hanno fatto con sincerità. Vedo commozione nei vostri occhi. Allora vi prego: non facciamolo morire nuovamente, facendo morire gli ideali e la causa per la quale si è sacrificato”.
Maurizio Boldrini *
(questo articolo è pubblicato su strsciarossa.it)