Rassegna Stampa

Da Roma un ponte con il Rojava, 20mila in marcia con i curdi

World Kobane Day. Cittadini, centri sociali, sindacati, partiti contro l’invasione turca. Schedati i manifestanti in bus. «La rivoluzione va difesa» I tamburi della murga si mischiano ai canti rivoluzionari del Rojava, gli striscioni di studenti e associazioni a quelli della comunità curda. È la declinazione italiana del World Kobane Day, la mobilitazione che ogni anno riempie le piazze in tutto il mondo per sostenere i diritti del popolo curdo e il progetto del confederalismo democratico. Nel primo appuntamento del 2014 la città del nord-est della Siria era assediata dalle milizie dell’Isis. L’anno successivo era stata liberata dalle forze curde. Adesso è minacciata dall’esercito turco e dalle bande islamiste alleate.

DAL FURGONCINO che apre il corteo, davanti a una testa composta da donne, risuonano i messaggi di solidarietà con il Rojava. Prende la parola anche un cileno, a tracciare un filo rosso tra le lotte popolari da un continente all’altro. Il corteo è convocato dall’Ufficio d’informazione del Kurdistan in Italia (Uiki) e da Rete Kurdistan. Sfilano centri sociali, iniziative di solidarietà, Arci, Fiom, Cgil, Potere al popolo e Rifondazione comunista. Ci sono persone di ogni età, bambini in passeggino e anziani con le bandiere della pace e quelle rosse della sinistra. Ma il colore lo danno il giallo, il rosso e il verde della bandiera del Kurdistan e di quella del Pkk, insieme alla stella delle unità di difesa curde Ypg e Ypj.

I PARTECIPANTI sono arrivati da ogni parte d’Italia con treni, macchine e autobus. Sette dalla Toscana, due dalla Sicilia, uno dalla Puglia e un altro dal Veneto. Il bus partito da Torino è stato fermato dalle forze dell’ordine per identificare tutti i presenti, riprendendoli in fila, con i documenti in mano. I due di Napoli arrivano a corteo già iniziato perché gli agenti hanno provato a sequestrare un grande striscione che dice: «Erdogan terrorista». «Siamo 20 mila», scrivono gli organizzatori sui profili social quando il lungo serpentone di gente si dispiega per via Cavour.

«IL MONDO OGGI deve camminare al nostro fianco – dice Yilmaz Orkan (Uiki) – Il progetto del confederalismo democratico è sotto attacco, invaso dai turchi. Quel sistema sociale che prevede la liberazione delle donne, il rispetto dell’ambiente e la convivenza dei popoli si può salvare: chiediamo una forza internazionale di interposizione o per lo meno una no fly zone. Il blocco alla vendita di armi non basta».

IN ALTO SVENTOLANO le immagini di Abdullah Öcalan, leader curdo prigioniero nell’isola di Imrali, Hevrin Khalaf, segretaria generale del Partito del futuro siriano trucidata 20 giorni fa a Qamishlo, e degli internazionalisti caduti nella difesa della rivoluzione. Tra loro l’italiano Lorenzo Orsetti, «Orso». In piazza c’è anche il padre Alessandro. «È importante manifestare perché con l’attacco turco si rischia la distruzione del sogno del Rojava – dice l’uomo che intorno al collo indossa una kefiah con i colori del Kurdistan – Quel sogno però non è finito. Bisogna difenderlo e mantenere alta l’attenzione internazionale».

PIÙ AVANTI c’è lo spezzone di di Un ponte per, unica Ong italiana attiva nel Kurdistan siriano e da anni impegnata in quello iracheno. «Ogni giorno registriamo violazioni del cessate il fuoco e aggressioni nei confronti della popolazione civile – afferma Alfio Nicotra, co-presidente di Upp – La vera intenzione di Erdogan è cacciare le persone che vivono nella Siria del nord-est dalle loro case per sostituirle con i profughi di guerra che si trovano in Turchia. Questa pratica si chiama sostituzione etnica ed è un crimine contro l’umanità, proibito dal diritto internazionale».

LA RELAZIONE tra movimenti sociali italiani e comunità curde è una storia di lunga durata, che affonda le radici nel tentativo di impedire l’estradizione di Öcalan, nei 65 giorni intercorsi tra l’arrivo da Mosca (12 novembre 1998) e la partenza verso Nairobi (16 gennaio 1999). Dove poi fu rapito dai servizi segreti turchi. I fili di quel rapporto si sono riannodati intorno alla resistenza di Kobane e alla rivoluzione in Rojava. Lo testimoniano le mobilitazioni di questi anni, le staffette in Kurdistan, i progetti indipendenti di cooperazione e la partenza di diversi internazionalisti.

LO TESTIMONIA anche il coinvolgimento di tante ragazze e ragazzi. «La rivoluzione curda con i suoi principi di emancipazione femminile, ecologismo, democrazia partecipativa, eguaglianza sostanziale è un modello fondamentale per una sinistra che possa rinascere dai giovani», dice Riccardo Carratta, studente del liceo Augusto.

 

Chiara Cruciati, Giansandro Merli

Il Manifesto

 

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