Opinioni e analisi

Il gioco neo-ottomano della Turchia e la questione dei profughi

Mentre a Idlib 120.000 persone aspettano sul confine, la Turchia ora vuole mandare soldati in Libia, dove converge la fuga dai Paesi del continente africano verso l’Europa.Alcuni giorni fa nei pressi di Adana un proprietario di piantagioni ha trovato il cadavere buttato via di un lavoratore siriano arrivato in Turchia come profugo. Si dice che Mustafa al-Recep si sia suicidato per le condizioni di vita catastrofiche e lo spietato sfruttamento. La morte di questo profugo rispecchia tutto il cinismo della politica sui profughi. La Turchia non ha riconosciuto a nessuno dei 3,6 milioni di profughi arrivati in Turchia lo status di profugo, ma ha imposto un programma di deportazione verso la Siria delle persone in cerca di protezione. I profughi, che starebbero lasciando la Turchia in modo volontario, vengono costretti con brutale violenza o con l’inganno, a firmare documenti che legalizzano la loro deportazione verso la Siria. Tuttavia questi piani non funzionano come desiderato, l’occupazione della Siria del nord non si è svolta secondo i desideri della Turchia, e anche a Idlib si profila una sconfitta.

Arrivano notizie che al confine di Idlib 120.000 persone in cerca di protezione attendono l’espatrio. L’invio di soldati turchi in Libia sembra servire a un bilanciamento della sconfitta che si profila a Idlib. Abbiamo parlato con l’autore Ercüment Akdeniz dei profughi a Idlib e della questione libica.

I profughi provenienti dalla Siria sono disoccupati, poveri e indebitati

Pochi giorni fa, il profugo siriano Mustafa al-Recep è stato trovato morto sul ciglio della strada. Si dice che si sia suicidato nella fabbrica dove lavorava. Questo cosa dice sull’attuale situazione dei profughi in Turchia?

Fred e Harry Magdoff hanno introdotto il termine „manodopera sostituibile“ (Disposable Workers). Descrive lavoratrici e lavoratori che lavorano senza alcuna garanzia. Milioni di lavoratrici e lavoratori non hanno alcuna garanzia. Dopo vengono licenziati. I capi non hanno alcun impegno legale per la garanzia di questa manodopera. In un periodo in cui in tutto il mondo avviene così tanta migrazione, questi costituiscono la gran parte della „manodopera sostituibile“.

Abbiamo parlato del lavoratore a Adana che si è tolto la vita a causa di una depressione e il cui cadavere è stato semplicemente abbandonato dal capo sul ciglio della strada. Usano lavoratrici e lavoratori, li sfruttano e quando le lavoratrici e i lavoratori muoiono a causa di incidenti sul lavoro o per altre ragioni, vengono semplicemente buttati via. Questo è molto drammatico. Questo va molto oltre la legge e qualsiasi altra cosa. Se andate a guardare gli incidenti sul lavoro – nient’altro che omicidi – delle e dei profughi e migranti, allora vedrete che nessuno di loro ha un avvocato e che le indagini su questi casi non vengono seguite ma spariscono in un cassetto. Per questo simili „incidenti sul lavoro“, in cui muoiono migranti, non producono costi per i capi. E c’è ancora un altro punto. C’è questa discussione in cui si dice: „C’è la disoccupazione, la nostra gioventù nonostante titoli di studio non trova lavoro e si suicida, ma avete mai visto un siriano che si è tolto la vita?“ Determinate aree, attraverso una narrativa di questo tipo cercano di aizzare la gente. Eppure è come abbiamo visto a Adana, anche le persone provenienti dalla Siria soffrono la fame, sono disoccupate e indebitate … Nella lotta contro la crisi, le lavoratrici e i lavoratori della regione e i e le migranti devono unirsi, perché il problema li riguarda insieme.

C’è sfiducia reciproca

Nel Paese c’è una crescente ostilità nei confronti dei profughi. Ora arrivano molte persone da Idlib. Quali pensa saranno le conseguenze?

C’è comunque un’atmosfera tesa. Ci sono alcune indagini in proposito e è stato rilevato che le persone, indipendentemente dall’appartenenza a partiti, alla base in una grande percentuale assume la posizione „i migranti vanno rimandati indietro”. Ma questo atteggiamento non deve essere interpretato solo come ostile ai profughi o anti-siriano. Ha qualcosa a che fare con il fatto che il problema non è stato risolto, anche se sono già passati otto anni. Ma anche le persone in cerca di protezione sono insoddisfatte. Non è stata praticata né politica di integrazione né di insediamento, e alle persone non è ancora stato riconosciuto lo status di profugo.

Con la crescente crisi economica il problema ha assunto un’entità del tutto nuova. La gente chiede per quanto andrà avanti. A fronte di questa pressione il governo ha iniziato una politica del rimandare in Siria. Quante di queste persone che vengono rimandate indietro se ne vanno per proprio desiderio? Anche questo è oggetto di molteplici discussioni. Per questo entrambe le parti, i profughi e la gente della Turchia sono inquiete rispetto alle notizie sul fatto che arriveranno circa 120.000 persone da Idlib. La gente dice: „Il problema con i quattro milioni che sono qui non è stato risolto, e ora devono arrivarne altri?“ Intanto le persone in cerca di protezione che vivono in Turchia temono di entrare ancora di più nel mirino. Non ci sono condizioni in cui le persone possano rientrare. Anche Idlib di cui si diceva fosse sicura, palesemente non è sicura.

L’obiettivo è scacciare dalla Turchia le persone in cerca di protezione

La Turchia ha avviato una guerra di aggressione in Siria del nord nella convinzione di voler costruire lì una zona di sicurezza“. In questa zona di occupazione, come anche a Idlib, ci sono costantemente scontri. Quanto è realistico inviare lì profughi in queste condizioni?

Molti politici e accademici hanno fatto ricerche nella regione e a ragione hanno costatato che ovunque lì si intenda costruire una „zona di sicurezza“, le condizioni non possono corrispondere a questo. Perché nella regione ci saranno sempre le condizioni per scontri armati. Per questo queste chiacchiere sul rimandare indietro non sono realistiche. Né lo rende possibile la situazione economica né si possono inviare persone in una zona di guerra. Ma naturalmente c’è anche l’Europa, che pensa solo a mettere in sicurezza i propri confini e alla quale basta che i profughi non tocchino suolo europeo. Per questo è stato fatto lo „accordo di riammissione“ con la Turchia.

Praticamente è stato costruito un muro sull’Egeo. Quindi i profughi sono stati rinchiusi in Turchia. Questo era in contraddizione con molti accordi internazionali. E ora con la „zona di sicurezza“ viene creata una situazione nuova che contraddice gli accordi internazionali. In questo si tratta di buttare via i profughi dalla Turchia e di trattenere lì [dove sono] coloro che si ammassano sul confine. Anche questo è illegale, ma le Nazioni Unite non sono più particolarmente interessate al diritto. Vogliono che il peso resti ai Paesi meno sviluppati.

Per questo potrebbe perfino essere che la Turchia ottenga denari per „zone di sicurezza“ all’esterno del proprio territorio. Perché non si deve ignorare il fatto che la Turchia continuamente minaccia di „aprire le porte“. Ma la questione è, chi lo finanzia. L’UE e le altre istituzioni internazionali tuttavia non sono aperte rispetto a questo. Su questo punto si arriverà a una crisi. Per questo credo che se non verrà istituita una grande „zona di sicurezza”, su pressione della Turchia verranno rese possibili piccole „zone di sicurezza“. Questo non è giusto, ma probabilmente andrà così.

Anche se la Turchia persegue sogni imperiali, le manca la forza

Bene, come ha detto Lei, da otto anni non c’è una soluzione per la questione siriana. Ma ora si parla di inviare soldati in Libia. Questo non significa che il problema si inasprirà ulteriormente?

Per comprendere meglio la crisi libica con riferimento alla situazione dei profughi, è necessario sapere quanto segue: dopo il „successo“ dell’accordo UE-Turchia si è tentato di fare questo anche in Libia. L’Italia per conto dell’UE, e la Libia per conto dell’Africa, hanno firmato un accordo. La fuga delle persone dai Paesi sub-sahariani è stata fermata il Libia in grandi carceri e campi. Questo accordo è stato definito come un successo dagli Stati partecipanti. E questo mentre persone vengono vendute nei mercati degli schiavi per le piantagioni in base al prezzo di mercato.

D’altro canto, se parliamo della Libia, allora ci sbagliamo. La Libia è il luogo in cui è incagliata l’intera migrazione del continente africano. Se giochiamo con la Libia, allora giochiamo con la migrazione lì. Se arriviamo alla Turchia, allora questa si trova in tre diversi vicoli ciechi. Il primo è la politica estera neo-ottomana che non si è fermata di fronte alla Siria e che ha fatto andare la Turchia a sbattere contro un muro. Alla fine resta con milioni di profughi. Ma la Turchia continua a seguire questa politica.

Il secondo vicolo cieco è il dibattito rispetto ai giacimenti di gas nel Mediterraneo. Qui la Turchia si è isolata. La regione può diventare un terreno di battaglia. Rispetto alla Libia, la Turchia, da Davutoğlu in poi, segue una politica estera provocatoria; si tratta di creare qui del caos e di manipolare in questo modo le dinamiche interne. Nelle loro spiegazioni sulle rivendicazioni in materia di gas, usano la dichiarazione di Mustafa Kemal, „Non c’è una linea di difesa, ma la difesa di una superficie“ Cosa significa difesa di una superficie? Significa, la nostra piattaforma continentale può essere dove vuole, ma noi saremo ovunque sul mare. Significa: „Non saremo attivi solo all’interno dei confini della Turchia, ma nei confini dell’Impero Ottomano. In Libia ci troveremo sul nostro vecchio territorio ottomano.“ Usano la partecipazione volontaria di Mustafa Kemal alla guerra contro l’Italia in Nord Africa come esempio e dicono: „Lì c’era il territorio della nostra patria e per questo lui è andato lì.“ La Libia però ha deciso da sé il suo destino e è un Paese sovrano e la Turchia non è più l’Impero Ottomano. Una cosa del genere nel 21° secolo non c’è più. Ma la ragione politica si muove secondo la logica che se gli equilibri iniziano a vacillare in tutto il mondo, allora ci potrebbe essere la possibilità di ritornare anche qui allo status quo ottomano. Ma anche se la Turchia ha questi sogni imperiali, sia per via della sua situazione economica sia per via delle sue dinamiche interne, non ha la forza di ricostruirsi come uno Stato imperialista.

Rispetto alla Siria è stato usato l’argomento della sicurezza dei confini, ma per la Libia questa argomentazione dovrebbe diventare complicata

Aspirare a un territorio così grande per un’espansione è un problema già in sé. Così come l’AKP in Siria è andata a sbattere contro un muro, in Libia le andrà due o tre volte peggio. Sull’invio di soldati in Libia si vota in Parlamento. Invece serve una politica estera che provveda alla pace tra i popoli. La popolazione non condivide l’entusiasmo per un impegno in Libia. Già da anni vive i risultati della politica estera in Siria. Così come la borghesia e il terzetto Enver, Talat e Cemal, negli ultimi anni dell’Impero Ottomano bramavano nuovi territori e nuovi mercati, oggi seguono una politica simile. Si è argomentato con la sicurezza del confine con la Siria, ma cosa si vuole dire ora rispetto alla Libia? Anche l’affermazione „Abbiamo costruito dalla Turchia fino alla Libia un ampio corridoio di sicurezza nel Mediterraneo e chiuso una vera porta contro la Grecia, così che tutto il mondo è rimasto sorpreso“, a livello internazionale non corrisponde alla realtà. Se Francia, Russia, USA, Gran Bretagna e Cina corrono dietro alla palla, la Turchia non la tocca tanto facilmente. Qui naturalmente si tratta di politica interna. Tuttavia è estremamente azzardato credere davvero di trovare riscontro nella popolazione in una crisi del genere.

di RONİ ARAM

Fonte: ANF

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