Storie

Öcalan a Roma: Un’internazionalista italiana ricorda

In occasione del 21° anniversario dell’arresto di Abdullah Öcalan, avvenuto a Nairobi, Kenya, il 15 febbraio 1999, vorrei condividere con voi quello che la parola “Öcalan” significa per me; è in effetti una parola oltre a essere un nome. Io sono un’artista italiana che era attiva politicamente negli anni ’90 e mi trovavo a Roma quando “Apo”, come Öcalan viene chiamato, il 12 novembre1998 arrivò dopo aver lasciato la Siria alla ricerca di un Paese disposto a ospitarlo come rifugiato politico. Il governo italiano all’epoca era guidato dall’unico Primo Ministro di sinistra (Massimo D’Alema) che abbiamo avuto dalla Seconda Guerra Mondiale e c’era una legittima possibilità per Öcalan di ottenere lo status di cui aveva bisogno. Fu ospitato nell’ospedale militare del Celio a Roma fino al 16 gennaio 1999. In questo periodo consistenti pressioni da UE, USA e Turchia costrinsero il governo a mandare via Öcalan, nonostante il fatto che solo la giustizia italiana poteva dichiararlo rifugiato politico, come poi alla fine fece ma con troppo ritardo; era già partito e sfortunatamente era stato catturato.

Ricordo di aver guidato incautamente la sera, cercando di evitare i consueti ingorghi del traffico del centro della città e di aver trovato parcheggi non tanto autorizzati nei quali infilare la mia vecchissima Ford nella piazza di fronte all’ospedale del Celio. Il primo giorno in cui vidi quella grandissima piazza occupata da tende, macchine, furgoni con targhe straniere e gente, tanta gente, arrivata in prevalenza dalla Germania e da altre parti dell’Europa per sostenere Apo, rimasi stupefatta. Nessuno si aspettava quella valanga umana di persone curde, fatta di donne e uomini di ogni età, che indossava sciarpe colorate, guardava tutti con occhi lucidi, aperti, e cantava, danzava, faceva tè, parlava con chiunque fosse disposto ad ascoltare, assicurandosi che la piazza davvero non dormisse mai. Ho passato molte notti in quella piazza, rinominata dalle attiviste e dagli attivisti romani Piazza Öcalan e conosciuta più tardi come Piazza Kurdistan. Uscivo dal lavoro e correvo lì per vedere come andavano le cose, passavo del tempo davanti al fuoco durante le lunghe e fredde notti, aiutando quando serviva, portando cibo, partecipando a questo periodo straordinario, fatto di gioioso sforzo collettivo per dire a un uomo che la sua lotta chiaramente non era solo la sua, che questa lotta era la loro, nel nome di quella libertà e indipendenza che mai prima avevano avuto.

Come attivista internazionalista, ero abitata a partecipare a proteste di massa per sostenere cause diverse che trovavo vicine al mio pensiero politico, come la lotta palestinese e la rivoluzione del Chiapas in Messico. Il mio coinvolgimento politico in questa emergenza era un atto perfettamente razionale; sentivo di dover essere lì per essere fedele alle mie idee e a me stessa. Ma quello successe a Piazza Öcalan fu una questione diversa, che scoprii solo vivendola. Ebbi la possibilità a livello personale, la mia prima volta, di connettermi con persone molto diverse dalla mia cultura e dalla mia storia personale; da questo evento ricevetti il dono di apprezzare la diversità e l’alterità come sensazione. Ero incantata dalla dignità e dall’apertura che i curdi mostravano nell’essere lì, tanto lontano da casa e per così tanto tempo, abbracciando il loro leader e loro stessi senza abbandonarsi alla disperazione o alla rabbia.

Dopo i festeggiamenti per il capodanno, le cose diventarono molto più difficili; era chiaro che il governo italiano non era in grado di affrontare il fronte internazionale contro la permanenza di Öcalan, molti iniziarono a tornare in Germania e il Comune esercitò pressioni sui curdi rimasti perché svuotassero la piazza. La realtà politica di cui facevo parte (C.S.O.A. ex-Snia Viscosa), insieme a altre, fece una mediazione con la polizia; offrimmo ospitalità per i pochi curdi che non se ne volevano andare finché la situazione di Apo non fosse chiara. Li accogliemmo nell’edificio (il complesso di una fabbrica in disuso) che avevamo occupato come nostra sede. Avevamo enormi spazi interni e esterni da riempire; facemmo interminabili file di letti sul pavimento all’interno, organizzammo tende e falò e incontri all’esterno, facemmo tantissimo tè per i giorni del Ramadan e ci assicurammo che tutti fossero al sicuro. Sorvegliavamo costantemente l’area, tenendo lontani la polizia e i fascisti. Proteggevamo e difendevamo ciascuno di loro, sentendo che il nostro in effetti era un contributo molto piccolo a una lotta così enorme.

Ricordo il giorno in cui Öcalan lasciò l’Italia e la notte dopo, quando mettemmo gli ultimi dei nostri amici curdi sugli autobus per tornare nelle loro case. Ricordo di aver pianto mentre li guardavo allontanarsi, sparendo nelle luci del traffico durante un’altra interminabile e fredda notte.

Quando Öcalan fu catturato in Kenya, ho fatto partecipato alla protesta di massa che ci fu alcuni giorni dopo e che ebbe inizio con l’assalto agli uffici chiusi della Turkish Airlines nella piazza romana dove ci eravamo radunati (Piazza della Repubblica). Ero lì, i miei amici erano lì, non l’ho fatto materialmente ma ero coinvolta nell’assistere e sostenere questa azione insieme ai miei compagni. Ho visto poliziotti puntare le loro pistole contro i manifestanti; come tutti quelli che erano lì, ero molto, molto arrabbiata con il governo italiano e la comunità internazionale. Molti furono arrestati nei giorni successivi, portando per molto tempo questo senso di disperazione e rabbia e soprattutto di assoluta impotenza. “Öcalan” per me è una parola che contiene tutte quelle che ho usato nello scrivere questo ricordo. Soprattutto significa un permanente, lungo abbraccio; lo stesso che avvolge i cuori del popolo curdo con la Speranza e la libertà che nessuno carcere può sminuire e distruggere, e che cresce giorno per giorno con la condivisione della loro verità.

Video manifestazione di Piazza della Repubblica:

https://www.youtube.com/watch?v=XtnKZukY_rI&feature=youtu.be

di Chiara Mu

Fonte: Komun Accademy

NdR: questo testo è stato tradotto dal testo pubblicato in lingua inglese. Ci scusiamo con l’autrice per eventuali imprecisioni, pregandola contestualmente di farci avere sue integrazioni/correzioni o meglio ancora il suo testo originale in italiano.

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