Un assassinio fascista di un militante comunista. Lower Class Magazine, 28.2.2020Sono circa 5000 le persone che il 22 febbraio sono arrivate nel quartiere romando del Tufello. La manifestazione è combattiva e ampia: molt* comunist*, anarchic*, iniziative femministe, abitanti del quartiere, anche attivist* del centro sociale curdo Ararat con bandiere di Öcalan e del PKK. Giovani fanno murales grandi e piccoli ai lati del corteo, viene accesa pirotecnica, di tanto in tanto si sente un botto. „Valerio vive“, è scritto sul grande striscione di apertura. La polizia si tiene lontana.
È un anniversario importante: sono passati ormai 40 anni dal motivo di questa manifestazione, l’assassinio di Valerio Verbano per mano di fascisti. Che ancora oggi dispieghi una simile forza simbolica dipende da diversi fattori. Da un lato la storia di Valerio non ha una conclusione: gli autori non sono mai stati trovati e il pantano di mafia, fascisti e Stato dal quale provenivano, fino a oggi non è stato prosciugato. Dall’altro però Valerio, come molti della sua generazione, rappresenta una concezione della politica che oggi è rimasta sommersa, ma di cui esiste un grande bisogno sociale.
„Se vuoi scrivere su Valerio“, dice Marco, un vecchio compagno di Valerio del quartiere, „allora devi scrivere di quello che si può imparare dalla sua storia e che resta attuale. È la militanza di un comunista. Era un ragazzo che ha fatto ciò che era necessario.“ Marco, all’epoca un po’ più giovane di Valerio, andava a scuola accanto al Liceo Scientifico Archimede, dove andava Valerio. I giovani erano politicizzati, il quartiere una roccaforte dell’Autonomia Operaia, dell’autonomia degli operai, Negli anni ‘70 e ‘80 il movimento operaio militante, fino ai grandi gruppi armati come Brigate Rose o Prima Linea, era diventato una forza che poteva diventare pericolosa per lo Stato. E lo Stato reagì: operazioni sotto falsa bandiera [la strage di Bologna, NdT], per provocare una guerra civile, un intreccio di criminali e fascisti armati, servizi segreti e l’esercito segreto anticomunista della NATO, Gladio.
Prove sparite, testimoni spariti
Migliaia e migliaia di lavoratrici e lavoratori, student* all’epoca si organizzavano nei gruppi della sinistra radicale. Anche Valerio Verbano. Il 18enne faceva arti marziali, come comunista bisogna sapersi difendere. Partecipa a manifestazioni, fa propaganda per l’Autonomia Operaia. E fa controinformazione, conduce ricerche sui fascisti e i loro legami. „Questo era un compito importante. Bisognava conoscere il proprio nemico“, ricorda Marco. E ipotizza: „Nelle sue ricerche deve aver trovato qualcosa.“ Il lavoro di ricerca di Valerio fino a oggi è leggendario tra compagne e compagni del Tufello. Seguiva i fascisti, faceva foto, preparò un ampio dossier.
Nell’aprile del 1979, Valerio poi viene arrestato. Insieme a altri costruiva bombe Molotov, cade nelle mani delle guardie e viene condannato. In una perquisizione domiciliare la sua ricerca-dossier di oltre 300 pagine cade nelle mani dello Stato. E allora, non è solo Marco a sospettarlo, da qualcuno devono aver suonato i campanelli d’allarme. Il dossier sparisce, così come più tardi materiale probatorio sugli assassini. Nel 2011 ricompare dai carabinieri, la gendarmeria dell’Italia, ma ormai ha una dimensione che è solo la metà di quella originaria.
La storia del dossier si incrocia poi con quella di due giudici. Uno è Mario Amato, l’unico giudice che procede anche contro i fascisti, appena quattro mesi dopo Valerio, viene assassinato a circa 50 metri di distanza. Si dice che per le sue ricerche abbia fatto ricorso al dossier di Valerio. Un secondo giudice, Antonio Alibrandi, ostacolò queste indagini perché aveva un figlio: Alessandro Alibrandi, una delle figure di spicco del neofascismo dell’epoca e dei vertici dell’organizzazione terrorista di destra Nuclei Armati Rivoluzionari (NAR).
Che l’attacco a Valerio avesse a che fare più che altro con la raccolta di informazioni, Marco lo ipotizza anche per come si sono svolti i fatti. I tre aggressori penetrarono nell’abitazione del giovane, legarono i suoi genitori e aspettarono. Quando arrivò a casa si difese, uno degli assassini gli sparò alla schiena. All’epoca non era inusuale che si sparasse, dice Marco. „Ma se vuoi ammazzare qualcuno, non entri dentro casa sua.“ Gli assassini cercavano qualcosa? Volevano „interrogarlo“?
Dopo l’assassinio inizia la storia di un’elaborazione impedita. Oggetti sequestrati nell’appartamento spariscono – tra cui un passamontagna e una pistola che però non è l’arma del delitto. Si fa vivo un solo testimone, afferma di aver visto i tre uomini. Più tardi ritira la dichiarazione, sparisce dalla zona, si compra una casa altrove. „Veniva dalle case popolari come noi“, dice Marco. „Se qui all’improvviso hai i soldi, o hai spacciato droga, hai vinto al lotto o hai fatto una banca – o qualcuno ti ha dato soldi perché tu sparisca.“
Restituire il colpo e avere memoria
Appena si diffuse la notizia della morte di Valerio, iniziò la tradizione di quella manifestazione che ora si è ripetuta per la 40a volta. „Ancora mi ricordo quando uscimmo da scuola“, così Marco. „Mi ricordo il boato di rabbia del corteo che uscì dall’Archimede. Poi siamo andati nelle piazza dove Aldo Semerari“ – una strana figura sul filo tra fascismo e criminalità organizzata – „teneva le sue lezioni e abbiamo spaccato tutto.“ E alcuni giorni dopo a Talenti spararono al picchiatore fascista Angelo Mancia davanti a casa sua. „All’epoca c’era ancora la forza di rispondere. C’era organizzazione.“, dice Marco quasi un po’ melanconicamente.
Gli anni degli scontri armati finirono nel corso degli anni ‘80 con la sconfitta delle forze proletarie. I fascisti di diversi colori, se non sono morti, sono stati riciclati. Lo sporco intreccio tra esponenti della destra, politica, polizia e criminalità organizzata è rimasto.
Ma anche la memoria di Valerio al Tufello è rimasta. Ogni anno da quattro decenni, con alti e bassi. Da un lato perché Carla, la madre di Valerio, fino alla sua morte ha cercato ostinatamente la verità. Dall’altro perché i vecchi compagni non volevano dimenticare. „Che fossimo dieci, cento o mille, ogni anno siamo scesi in piazza“, dice Marco con orgoglio. E alla fine degli anni ‘90 poi è stato occupato un edificio e trasformato nella Palestra-Popolare-Valerio-Verbano. Al Tufello ci sono molti murales di Valerio, la storia è nota anche ai più giovani.
Il vero insegnamento di Valerio, Marco però lo vede sommerso. „Bisogna capire cosa significava essere un militante comunista. Quando Giovanni Pesce all’epoca del fascismo arrivò a Torino, chiese: dov’è il partito? E gli fu detto: tu sei il partito. E allora ha fatto ciò che era necessario. Questa era anche la mentalità di Valerio.“
di Peter Schaber
#Immagine: Contropiano
40 Jahre Gedenken an Valerio Verbano: Ein faschistischer Mord an einem kommunistischen Militanten