Tradizionalmente anche in Rojava il 1 maggio viene celebrato con manifestazioni e iniziative. Il tema dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori fin dall’inizio del movimento di liberazione curdo è un tema centrale. Ma quest’anno molte cose sono diverse. Dopo che già il Newroz – la festa curda di capodanno e della primavera – è stato disdetto per la pandemia da coronavirus, ora anche i festeggiamenti per il 1 maggio sono vietati. Vige la quarantena, si portano mascherine, le strade sono vuote, la maggior parte dei negozi hanno chiuso, così le università e le scuole; i veicoli vengono controllati per verificare che i passeggeri abbiano un permesso.
Ma le lotte per la libertà e la giustizia continuano – la rivoluzione non conosce quarantena. La rivoluzione è solo uno dei temi onnipresenti: la crisi economica, le conseguenze dell’invasione turca, gli attacchi militari che perdurano e last but not least: il Ramadan formano il contesto della vita quotidiana.
La crisi da coronavirus nel contesto della guerra in corso
Finora non si è verificato la grande esplosione del COVID-19, in questa settimana ci sono stati i primi due casi e l’umore è teso. Uno scoppio qui può avere conseguenze catastrofiche per l’intera società: il sistema sanitario è scosso dove nove anni di guerra e non è solido. La costruzione di nuove strutture sanitarie è in corso, ma viene continuamente fermata dagli attacchi militari della Turchia. Manca denaro per equipaggiamento e medicinali, soprattutto però personale medico qualificato e solida formazione medica.
A questo si aggiunge che in luoghi come Al Hol, un campo profughi con circa 70.000 abitanti – molte dei quali seguaci di IS – le persone vivono a stretto contatto, non c’è possibilità di isolamento e ci sono solo poche strutture sanitarie. Se divampasse qui, un’assistenza delle e dei malati non sarebbe possibile. Ma non solo la situazione nei campi profughi è preoccupante. Tutte le persone messe in fuga dalla guerra che non vivono in uno dei campi, sono fortemente minacciate dalla crisi. Al momento circa 80 000 persone si trovano in fuga nel nordest della Siria, hanno a stento accesso a un’assistenza medica e vivono a stretto contatto e senza possibilità di isolamento.
Ma già prima dell’incombente diffusione la popolazione è direttamente colpita dalla crisi da coronavirus: le misure di quarantena portano al fatto che le persone non possono lavorare e non hanno più un reddito, a questo si aggiunge il rincaro dei prezzi degli alimenti e attraverso la chiusura dei confini ci sono difficoltà nella fornitura di alimenti, medicinali e materiali medici.
Ufficialmente vige una tregua, ma la Turchia e le milizie sue alleate continuano a condurre attacchi a Afrin, Kobane e Sehba e occupano vie di collegamento centrali facendo sì che i rifornimenti non possano essere portati nell’ovest del Paese. Appelli internazionali condannano la Turchia e le milizie alleate per la violazione della tregua. Ma questi appelli restano senza conseguenze.
La rivoluzione delle donne
Fin qui la situazione qui sul posto. Ora uno sguardo alla situazione delle donne. Possiamo guardare indietro a 40 anni di movimento delle donne curde, otto anni di amministrazione autonoma in Rojava e a passi impressionanti dall’ambiziosa teoria in direzione della pratica. Il movimento delle donne curde ha da celebrare molti successi nella sua lotta contro l’ingiustizia e l’oppressione: le donne ormai sono presenti in tutti gli ambiti della società e della vita professionale: sono giuriste, giornaliste, mediche, studenti, e rappresentano una parte importante delle forze di autodifesa del Rojava, con il loro proprio esercito YPJ (Yekîneyên Parastina Jin, Unità di Difesa delle Donne). Attraverso le leggi delle donne del 2014 sono state promulgate leggi sulla parità di diritti e l’abolizione delle ingiustizie. Le più importanti tra queste sono l’abolizione dei matrimoni infantili e della poligamia, un divieto di sessismo e violenza nei confronti delle nonché il diritto alla parità salariale nel lavoro. L’introduzione della co-presidenza stabilisce che in tutti gli incarichi importanti una donna e un uomo decidono insieme, sia nelle strutture militari sia in quelle civili. Ma tutti questi cambiamenti hanno bisogno di tempo per imporsi nella società e trovare il loro percorso dalla teoria alla pratica. Soprattutto nella popolazione araba molte donne conducono ancora una vita nell’oppressione e nell’ingiustizia.
In tempi di pandemia da coronavirus per esempio questo si fa notare nei numeri per la violenza domestica. Donne che non possono lasciare la loro casa e il cui marito frustrato, stressato, è a casa tutto il giorno, vengono picchiate e maltrattate ancora più del solito – psicologicamente e fisicamente. Per il mese di marzo è stato registrato un chiaro aumento delle violenza domestica rispetto all’anno precedente – per non parlare del numero supposto. E questo non vale solo per la Siria del nordest. Altri problemi con i quali le donne sono confrontate sono la cura dei bambini che sono a casa tutto il giorno e le perdite finanziarie che si sono prodotte con la crisi.
Superare le contraddizioni, costruire una società diversa
A fronte di questa difficile situazione complessiva e della vita nelle contraddizioni, impressiona e ispira la determinazione del movimento rivoluzionario curdo a non lasciarsi fermare dalla realtà, da temporanei fallimenti o dagli attacchi dall’esterno, ma a continuare. Lottare contemporaneamente su molti fronti per la libertà e la giustizia: il fronte militare reale, ma anche nelle famiglie, nelle scuole, nelle case delle donne, nelle case per la riabilitazione dei feriti di guerra, nei tribunali e in molti altri luoghi. Mi auguro che da questo possiamo imparare qualcosa. Ossia a vedere l’insieme, a non rinunciare, adattarsi alla realtà ma non farsi schiacciare da questa, essere creativ* e soprattutto: mettersi insieme e lottare insieme!
Se non iniziamo a trovare punti in comune anziché differenze, a vedere le nostre lotte come espressioni diverse dello stesso problema e a superare le nostre differenze personali, alla non diventeremo movimento che sia abbastanza forte da cambiare la società e prima o poi anche „il sistema“. E se non ora, in questi tempi di crisi e di stato d’eccezione, quando?
E chi, se non noi come donne, noi come donne lavoratrici – e di queste fa parte ogni madre che si prende cura di una famiglia così come ogni donna che svolge una professione – in questo può precedere e essere d’esempio? Donne, lavoratrici di questo mondo: formate bande, mobilitatevi per un mondo migliore e non lasciatevi fermare!
JIN JIYAN AZADI
# Testo: Evin Azad, attivista e medica di Berlino. Dall’inizio dell’anno si trova per la seconda volta in Rojava come internazionalista . Focus: sostegno medico, costruzione del sistema sanitario e della formazione medica, rivoluzione delle donne, diritti delle donne, femminismo, Jineoloji, resistenza, resoconti.
# Immagine: divieto di circolazione per coronavirus: mercato vuoto di Souk, Evin Azad
da Lower Class Magazine