D. Mi sembra che tuttora per i Curdi – in generale, non solamente in Bakur – gran parte dei problemi provenga – come già in passato – da Ankara. Non solo, appunto nei territori curdi all’interno dei confini dello Stato turco o in Rojava sottoposto a invasione militare. Ma anche nel Kurdistan del sud (Bashur), la regione curda entro i confini dell’Iraq dove Ankara interviene con decisione sia politicamente che militarmente. Alimentando ed esasperando divisioni interne al popolo curdo e aspri contenziosi tra le diverse organizzazioni curde (in particolare tra PKK e PDK). E’ possibile tracciare un quadro generale di questa intricata situazione e – in particolare – di quel che comporta per le minoranze oppresse come i curdi yezidi?
R. “Storicamente, soprattutto dalla caduta del regime di Saddam e la costituzione della Federazione regionale, la Turchia ha appoggiato i curdi iracheni allo scopo di alimentare conflitti tra il PDK e il PKK (oltre che con gli altri movimenti legati a quest’ultimo).
Anche negli ultimi giorni (primi di novembre del 2020 nda) abbiamo assistito a nuove frizioni tra questi due partiti curdi nel nord dell’Iraq. E’ evidente che la Turchia (qui già illegalmente presente, per combattere i guerriglieri curdi) sta spingendo i dirigenti del PDK a intervenire militarmente contro il PKK.
Non dimentichiamo poi che da quando la Comunità internazionale ha riconosciuto la Regione del Kurdistan (Herema Kurdistane, federale e autonoma con capitale Erbil) e il governo regionale curdo (KRG), Ankara sembra – stando alle dichiarazioni sia di politici che di generali turchi – essersi pentita di averla in qualche modo sostenuta (allo scopo di strumentalizzare il PDK) in quanto potrebbe costituire un pericoloso precedente. In Rojava per esempio.
Per questo, per impedire il costituirsi di un’altra regione autonoma curda riconosciuta a livello internazionale (stavolta magari nel nord della Siria) e avendo intuito che sia Washington che Mosca e Damasco non avevano nessuna intenzione di proteggere il Rojava, nel gennaio 2018 l’esercito turco aveva attaccato Afrin.
Inizialmente con il progetto di occupare in profondità per almeno trenta chilometri dal confine siriano. Per ora sono arrivati a circa 25 chilometri occupando alcune città curde. E’ probabile – dato che stanno accumulando armamenti pesanti vicino alla frontiera – che sia in preparazione un nuovo attacco, un’altra invasione. I tempi – più che dal risultato delle lezioni negli Stati Uniti – dipendono dall’atteggiamento di Russia e Iran. Infatti Assad rimane al potere in quanto ha il sostegno militare di Mosca (soprattutto aereo) e di Teheran (sul terreno) e se queste due capitali daranno parere favorevole – o comunque un tacito assenso – Erdogan non esiterà nel compiere un’ulteriore invasione. Come contropartita, la Turchia potrebbe assecondare la richiesta russa di allontanarsi dalle aree ormai controllate da Assad. Va anche ricordato che – storicamente – la Turchia non ha mai accettato tali confini. Ankara vede alcuni di quei territori esattamente come vede alcune isole greche e anche una parte di Iraq. Ossia come territori turchi.
In particolare, dato che non riconosce l’identità curda (e tantomeno la Nazione curda) per la Turchia tutti i territori dove vivono dei curdi sono (o dovrebbero essere) parte integrante della Turchia.
Purtroppo non si percepisce da parte della Comunità internazionale, dell’ONU alcuna intenzione di fornire un riconoscimento ufficiale per la Nazione curda.
Così, mentre la Palestina e il Sahara occidentale godono – nonostante tutto – di un qualche riconoscimento internazionale, per i Curdi non se ne parla”.
LE SPROPOSITATE AMBIZIONI TURCHE
D. Tra l’altro le ambizioni turche di espandersi, occupare altri territori non si limitano a quelli che hai citato, mi pare…
R. “Infatti. Nelle mire della Turchia c’è anche la regione di Sengal (Sinjar, nell’Iraq nord occidentale al confine con la Siria nda), abitata dai curdi yezidi.
Soltanto sei anni fa abbiamo assistito a un vero e proprio tentativo di genocidio nei loro confronti per mano dello stato islamico. A migliaia vennero massacrati (almeno un’ottantina le fosse comuni finora ritrovate), rapiti, violentati, schiavizzati. Un tentativo che non venne adeguatamente contrastato dalle milizie del PDK di Barzani che – in pratica – si defilarono abbandonando i curdi yezidi al loro terribile destino. Soltanto l’intervento delle HPG (PKK), YPG e YPJ – attraverso la costituzione di un corridoio umanitario verso il Rojava – rese possibile la salvezza di migliaia di altre potenziali vittime.Centinaia di donne e bambine vennero vendute dall’Isis – anche su internet – come schiave sessuali. Molti ragazzi vennero invece costretti ad arruolarsi. E altre decine, centinaia di persone morirono di stenti – talvolta di sete – durante la fuga sulle montagne. Sono oltre tremila i bambini yezidi rimasti orfani e di altrettante donne non si sa più che fine abbiano fatto (oltre 4mila invece quelle salvate da PKK, YPG, YPJ e Forze democratiche siriane nda).
Quanto a profughi e sfollati interni, si parla di circa 350mila.
E non dimentichiamo le discriminazioni a cui sono sottoposti i curdi yezidi che vivono in altre zone, come per esempio a Erbil (capoluogo della regione curda autonoma governata dal KRG nda) dove viene loro proibito perfino di aprire un ristorante.
Negli ultimi mesi ci sono stati nuovi accordi tra la Turchia e il PDK, accordi che hanno principalmente lo scopo di distruggere l’autonomia amministrativa, politica e anche militare (dispongono di circa settemila guerriglieri per l’autodifesa) dei curdi yezidi.
Ovviamente quelli di Sengal dicono: “Ma voi chi siete? Come potete pretendere, dopo averci abbandonati nelle grinfie di Isis, di venirci a governare? In realtà dietro tutto questo c’è sempre la Turchia. Del resto il PDK ha arruolato e addestrato (a Erbil, con la collaborazione dell’Intelligence turca) circa cinquemila “peshmerga” prelevati in Rojava per esautorare dall’interno anche il governo autonomo in Rojava. Recentemente l’organizzazione delle donne Kongra Star aveva accusato l’ENKS (Consiglio Nazionale Curdo, sostanzialmente la branca siriana del PDK ), oltre che di maschilismo per aver boicottato la copresidenza paritaria, di collaborazionismo. Sia con Ankara che con Damasco. Del resto, così come il PDK, in passato l’ENKS ha talvolta collaborato con la Turchia (per esempio all’epoca dell’invasione di Afrin nel 2018). Lo scopo è sempre quello di distruggere l’autonomia curda, sia in Rojava che a Sengal.
Così come – con il medesimo intento – i turchi si apprestano ad attaccare nuovamente le montagne di Qandil dove sono insediati i guerriglieri del PKK.
Per concludere. Mi sembra evidente che la Turchia non consentirà mai la nascita di una autentica autonomia curda. E questo i nostri fratelli ancora non lo capiscono”.*
I CURDI, UN POPOLO INDIGENO di 45 milioni di persone
D. Eppure i precedenti – per capire quali siano le reali, costanti intenzioni della Turchia – non mancano…
R. “La Storia ce lo insegna. Al tempo di Ataturk vennero create le fondamenta (un “sistema”) per uno stato nazione turco dove si parlasse solo la lingua turca. Non potendo agire contro 25 milioni di Curdi come fecero con altre “minoranze” (assiri, greci, yezidi, armeni…), ossia non potendo massacrarli tutti, cercarono di assimilarli. Per inciso, questo è avvenuto con altri popoli (circassi, ceceni…). Erano – all’epoca – oltre una settantina le nazioni minorizzate presenti all’interno dei confini turchi e ora praticamente scomparse. Restano, oltre ai Curdi, soltanto gli arabi nelle aree vicine alla Siria (ma anche molti di loro sono di fatto assimilati). I Curdi, oltre che più numerosi, erano culturalmente più forti. Parlavano la loro lingua, conservavano le loro tradizioni. Possedevano – e possiedono – una cultura autentica, ben radicata in quei territori e le cui origini risalgono praticamente al neolitico (per la precisione, si calcola, a circa 12mila anni fa). Vedi le città di Urfa (Riha), vedi Hasankeyf ora – forse non per caso – sommersa dalle acque di una diga sul Tigri.
Qui hanno prosperato diverse antiche civiltà (Accadi, Sumeri, Ittiti…). Ma soprattutto, i Curdi – un popolo indigeno costituito ormai da 45 milioni di persone – sono sempre lì.
Invece quella turca è una cultura costruita a tavolino, non essendosi sviluppata su queste terre (i turchi provengono presumibilmente dalla Mongolia). La stessa popolazione “turca” (soprattutto quella che vive in Anatolia) è in parte costituita da turcomanni, azeri, kirghizi etc.
Potremmo definire la Turchia come “uno Stato creato artificialmente”. E questo spiegherebbe anche certi eccessi, certe forzature.
Per esempio nell’insegnamento (ne parlo per esperienza diretta). Nelle scuole, fino all’università, si insiste sistematicamente sulla grandezza ottomana.
Per questo dico che – forse – sarebbe stato più facile per noi scrollarsi di dosso un colonialismo esterno (inglese, francese, portoghese…) come hanno saputo e potuto fare molte ex colonie in Medio oriente, in Africa, in America latina…”.
IL CONFEDERALISMO DEMOCRATICO: UNA SPERANZA PER L’UMANITA’
D. Il Confederalismo democratico. Sicuramente una speranza per l’Umanità, non solo per i Curdi. Ma vien da chiedersi come possa funzionare in situazioni così drammatiche, di guerra sostanzialmente. Al momento quanto ne rimane di ancora operativo, funzionante…?
R. “Certo non è semplice. Soprattutto se pensiamo che in questa situazione è già difficile anche solo rimanere in piedi. Tuttavia, come ha spiegato il nostro presidente Ocalan, la lotta dei Curdi in Bakur, in Rojava, a Sengal…è al 90% una lotta con l’antico feudalesimo, il maschilismo, il capitalismo, l’islamismo politico, il patriarcato…e solo al 10% contro il nemico.
Mi spiego meglio. E’ principalmente una battaglia ideologica, politica. E’ una lotta impensabile senza il Confederalismo democratico e l’applicazione dei suoi principi.
Se questo dovesse venir meno anche una vittoria militare sarebbe illusoria.
I municipi, le scuole, l’università funzionano ancora in base al paradigma che consente la convivenza tra i popoli. Per inciso, è per questo che in Rojava non li abbiamo lasciati entrare nelle città, né gli statunitensi, né i Russi.
Ed è sempre per questo – per lasciar annientare quella convivenza garantita dal Confederalismo democratico – che Assad quasi nemmeno protesta per l’invasione turca del suo Paese. Tantomeno Damasco protesta presso il Consiglio di Sicurezza per il dirottamento delle acque che dissetavano il nord della Siria.Così come nessuno ha richiesto l’istituzione di una no-fly zone (zona di interdizione al volo nda) consentendo invece ai turchi di bombardare impunemente (sia con aerei che con droni) le aree abitate dai curdi.
In sostanza, Assad preferisce lasciare alla Turchia il “lavoro sporco”, quello di distruggere l’autonomia curda. E lo stesso discorso vale per l’Iran ovviamente.
Oggi come oggi, noi Curdi abbiamo dalla nostra parte soltanto l’opinione pubblica, la solidarietà internazionale. Certo, se uno o due Stati riconoscessero la Nazione curda le cose potrebbero andare diversamente”.
D. E della prospettiva tradizionale di molte lotte di Liberazione, cioè la costruzione di uno Stato per i Curdi, cosa ne diresti?
R. “Questo poteva valere in passato. Ma oggi per i curdi, e in particolare per il PKK, l’importante è la Libertà. Abbiamo imparato che lo Stato nazione può diventare una trappola per i popoli. Se chiedessimo, per esempio, l’indipendenza del Rojava potrebbero scoppiare conflitti con gli armeni o con i turcomanni qui presenti. Per questo noi parliamo di una Confederazione, in cui a tutti i popoli sia garantito il diritto all’autodeterminazione”.
Intervista a Yilmaz Orkan, responsabile UIKI-ONLUS (Ufficio di Informazione del Kurdistan in Italia)
a cura di Gianni Sartori
* nota 1: in riferimento – direi – soprattutto ai curdi del PDK. Appare infatti differente, meno ostile verso il PKK, la posizione assunta dall’altro grande partito curdo in Iraq, l’UPK nda