Kurdistan. Intervista a Yilmaz Orkan (Uiki) in vista dei 22 anni dalla cattura del fondatore del Pkk: «Sarebbe una vittoria per i progressisti della regione e condurrebbe a una nuova convivenza tra popoli. La sua prigionia è sintomo dell’autoritarismo, in Turchia ma non solo»
Il 15 febbraio 1999 Abdullah Ocalan, leader e fondatore del Pkk, veniva catturato in Kenya dai servizi segreti turchi, dopo mesi trascorsi in Italia senza ottenerne la protezione.
Da allora è detenuto nell’isola-prigione di Imrali, in condizione di totale isolamento. Come ogni anno in occasione dell’anniversario della cattura, in Italia e nel mondo movimenti, organizzazioni e singoli si mobilitano per chiederne il rilascio e per fare pressioni sui rispettivi governi affinché intervengano sulla Turchia, membro della Nato e alleato commerciale e politico.
Una mobilitazione che va avanti da anni e che nel 2020, nonostante la pandemia, ha visto iniziative virtuali e in presenza in tutta Europa. Ne abbiamo parlato con Yilmaz Orkan, presidente dell’Ufficio di Informazione del Kurdistan in Italia (Uiki), tra i principali promotori delle campagne per la liberazione del leader curdo.
Come sta andando la raccolta firme della campagna «Il momento è arrivato»?
La campagna ha avuto tre fasi diverse: nella prima, lo scorso autunno, abbiamo raccolto le adesioni di associazioni, sindacati, partiti politici e singoli compagni; nella seconda, abbiamo lanciato la petizione, diretta all’Europarlamento, sulla piattaforma change.org, al momento sono state raggiunte oltre mille firme; nella terza, abbiamo allargato l’azione a un’iniziativa internazionale rivolta alle Nazioni unite su spinta del Cosatu, la Federazione dei sindacati sudafricani, che ha attivamente preso parte alla campagna per la liberazione di Nelson Mandela. È stato il Cosatu a indirizzare una lettera al segretario generale dell’Onu, Guterres, a cui chiede di agire subito a favore della scarcerazione di Ocalan e della pace in Turchia. In Italia lo stesso hanno fatto Cobas, Unicobas e Cub.
Avete notizie recenti sulle condizioni di Ocalan? Il suo è a tutti gli effetti un isolamento totale: dal 2016 ha potuto incontrare la famiglia solo quattro volte, gli è impedito di tenere anche una minima corrispondenza con l’esterno e in oltre 20 anni ha potuto telefonare solo una volta.
L’ultima notizia che ci è giunta è che, tramite la Procura di Bursa, il presidente e i tre compagni con lui detenuti a Imrali (Ömer Hayri Konar, Hamili Yıldırım e Veysi Aktas) hanno potuto fare una sola chiamata alle famiglie. Ocalan ha parlato 20 minuti con il fratello, convocato in Procura per potergli telefonare. Non sappiamo molto della sua situazione: né la famiglia né gli avvocati possono fargli visita, l’isolamento è totale. Su questo il Cpt (Comitato europeo per la prevenzione delle torture) ha presentato un rapporto nel 2020 chiedendo alla Turchia di rispettare le convenzioni sui diritti umani di cui è firmataria.
Che effetto avrebbe sulla Turchia e sul Medio Oriente la liberazione di Ocalan?
Negli ultimi anni in Medio Oriente assistiamo a un enorme conflitto tra forze jihadiste, Stati autoritari e movimenti progressisti. Se Ocalan venisse liberato, sarebbe una vittoria per i progressisti della regione, perché condurrebbe a un nuovo accordo di convivenza tra popoli, curdi, turchi, arabi, assiri, persiani. La prigionia di Ocalan è correlata alla situazione in Medio Oriente perché è sintomo del potere conservatore in Turchia e non solo. Il suo rilascio risveglierebbe i progressisti nei paesi autoritari. Erdogan, insieme ai suoi alleati, i nazionalisti e i Lupi grigi, lavora alla distruzione dell’opposizione progressista nel paese, lo vediamo con la pressione degli studenti dell’Università di Bogazici, con il commissariamento dei municipi retti dall’Hdp e con gli attacchi alla stampa indipendente. E questo accade in un momento in cui la Turchia vive una grande crisi economica. L’obiettivo di tale stretta – e della proposta di mettere al bando l’Hdp – è andare a elezioni anticipate avendo prima isolato le opposizioni progressiste ma anche quelle liberali, più europeiste. Secondo molti Erdogan non vincerebbe le elezioni, per questo tenta di far sparire prima tutte le opposizioni, a partire dall’Hdp.
La Corte europea per i diritti umani si è espressa con due decisioni, nel 2005 e nel 2014, affermando che il processo che ha condannato Ocalan non è stato equo e che è stato violato il divieto di tortura. Nulla è cambiato. Cosa chiedete a Italia ed Europa?
Quando parliamo di Turchia e di curdi, parliamo di popoli vicini all’Europa. Tutto quello che accade in Turchia e in Kurdistan interessa l’Europa, anche alla luce dei negoziati per l’ingresso turco nella Ue e dell’appartenenza alla Nato. L’Europa, attraverso l’Europarlamento e la Commissione, dovrebbe assumere una posizione di sostegno ai progressisti in Turchia e a favore di una soluzione pacifica e politica della questione curda. Se il governo turco e i Lupi grigi non saranno fermati, si sentiranno legittimati ad agire. L’Europa deve assumersi degli impegni seri: la pace in Medio Oriente porterà benefici anche alla Ue, in termini di fine dei conflitti, migrazioni, commercio.
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Le iniziative del fine settimana in Italia. E oggi sul manifesto
Diverse le mobilitazioni organizzate da Uiki, da Rete Kurdistan e dal comitato «Il momento è arrivato. Libertà per Ocalan». Sabato 13 febbraio presidi a Roma (alla sede Rai, Viale Mazzini) alle 11.30 e nel pomeriggio a Milano, Firenze, Palermo, Alessandria, Bologna, Parma e Rovigo.
Domenica 12 febbraio performance all’Arco della pace di Milano alle 15.30. Lunedì 15 febbraio presidi a Lucca e a Bari. Tutte le informazioni
su uikionlus.org e retekurdistan.it. E oggi alle 18.30 sul sito e la pagina Facebook del manifesto discuteremo di Kurdistan con Maria Edgarda Marcucci e Yilmaz Orkan.