I resti di oltre 20 persone uccise dalle forze statali durante il coprifuoco a Nusaybin, in Turchia, non sono ancora stati consegnati alle loro famiglie. Tra il 16 agosto 2015 e il 14 marzo 2016, otto successivi coprifuoco sono stati dichiarati nel distretto curdo di Nusaybin (Nisêbîn) nella provincia di Mardin (Mêrdîn) in Turchia.
Il coprifuoco, accompagnato da operazioni militari contro i combattenti curdi che in molte occasioni hanno preso di mira indiscriminatamente i civili, ha provocato molte vittime da entrambe le parti.
Secondo i registri della procura negli scontri sono stati uccisi in totale 69 tra poliziotti, soldati, militari e guardie di villaggio e 528 sono rimasti feriti, mentre le Unità di protezione civile (YPS), un’ala giovanile del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK ) ha annunciato che 51 membri delle YPS e YPS/Jin (unità femminili) sono stati uccisi.
MEBYA-DER (associazione per la solidarietà con le famiglie delle vittime uccise nel conflitto armato), ha annunciato che a Nusaybin sono stati recuperati i resti di 83 persone, tra civili e combattenti.
Nei sei anni trascorsi dagli incidenti, secondo quanto riferito, i resti di molte persone non sono stati ancora consegnati alle loro famiglie, presumibilmente a causa di discrepanze nell’analisi del DNA. Tre famiglie non sono state in grado di recuperare i resti nonostante i campioni di DNA corrispondenti.
Una madre curda, Leyla Değer, come tante altre, cerca da sei anni di recuperare i resti di suo figlio.
Parlando con l’agenzia di stampa Mesopotamia, ha affermato che era dal telegiornale che aveva appreso per la prima volta della morte di suo figlio, Abdülselam Değer.
Lei ha affermato:
“Non siamo riusciti a trovare il suo corpo, quindi abbiamo iniziato a cercare. Abbiamo chiesto [alle autorità] il suo corpo e ci hanno detto che i suoi resti non erano stati identificati. Abbiamo fornito campioni di sangue in tre diverse occasioni (…) Sto ancora cercando. Voglio che i suoi resti siano sepolti vicino a noi. Sono passati sei anni dall’evento e sto ancora cercando. Voglio che venga sepolto.’”
Leyla Değer ha anche indicato di essere stata convocata dalla procura e che gli era stato detto di avere un “pacco” da ritirare, aggiungendo di aver ricordato in quel momento come il corpo di Agit İpek (un combattente del PKK ucciso negli scontri) fosse stato inviato a la sua famiglia in una scatola.
Ha continuato:
“Quello è stato un grande insulto. Pensavo di ricevere il corpo di mio figlio in una scatola (…) sono andato in procura, ma mi hanno dato solo alcuni documenti e mi hanno detto che il corpo non era stato ancora identificato. Da quel giorno non ho avuto ulteriori informazioni”.
Ha chiamato le famiglie in situazioni simili, dicendo:
“Restiamo uniti (…) Che i nostri figli siano sepolti vicino a noi”.