Opinioni e analisi

Concezione internazionale contro Sinjar autonoma

“Gli yazidi, insieme ad armeni e assiri sono le comunità che hanno subito i peggiori attacchi fisici di genocidio in Mesopotamia dalla prima metà del 19° secolo”, lo scrive Meral Çiçek per Yeni Özgür Politika.

Questa era di genocidio che ha raggiunto il suo apice negli anni della prima guerra mondiale, è stata chiamata Aghet [lett: calamità] dagli armeni, Sayfo [lett: la spada] dagli assiri e Ferman [lett: editto islamico] dagli yezidi.

Un elemento del genocidio era il massacro fisico, l’altro la deportazione. Oggi il numero di armeni, assiri e yazidi che vivono nel Bakur [Kurdistan settentrionale] è così piccolo da essere trascurabile.Il numero della diaspora assira è molte volte quello che viveva nelle loro antiche terre. Allo stesso modo il numero di armeni deportati e dispersi nel mondo è più del doppio di quello che vive in Armenia.

Purtroppo queste due popolazioni indigene, che conoscono queste terre in cui le prime civiltà sono emerse come loro terre d’origine sono in gran parte diventate diaspore. Sarebbe lo stesso per gli yazidi se non fosse per Sinjar e Shekhan.

Dal 1830 in poi, gli yazidi dell’Anatolia nord-orientale furono costretti a migrare in Armenia, Georgia e Russia, mentre dagli anni ’70 in poi quelli di Mardin e Urfa furono sistematicamente diretti in Germania, lasciando il Bakur quasi completamente privo di yazidi. (Oggi si stima che il numero di yazidi che vivono in Germania abbia raggiunto i 150mila.)

Gli yazidi hanno anche affrontato numerosi ferman nelle montagne del Sinjar, ma non hanno abbandonato queste terre aride, una garanzia della loro esistenza. C’è una grande comunità yazida che, dalle tende dove vivono da anni, ha resistito agli attacchi genocidi dell’Isis così come ha resistito agli attacchi del regime Baath che ha versato cemento nelle loro sorgenti per prosciugarle. Lo scopo del 73° Ferman era quello di completare il genocidio yazida, di disperdere gli ultimi della comunità yazida che vivevano sulla linea tra Sinjar e Shekhan e di cacciarli dal Kurdistan.

Mentre il ruolo dell’ISIS in questa politica era il massacro fisico e la riduzione in schiavitù delle donne come “bottino di guerra”, le forze della modernità capitalista hanno intrapreso la missione di distribuire i sopravvissuti in luoghi a migliaia di chilometri di distanza.

Gli stati occidentali hanno spalancato le porte in nome delle loro politiche presumibilmente umaniste e utili e hanno fatto crescere ancora di più la diaspora yazida.

Quando il governo canadese ha annunciato con un grande gesto che avrebbe concesso il diritto di soggiorno a 1.200 yazidi, questa è stata considerata una politica esemplare per i rifugiati.

Durante una visita in Francia, Nadia Murad, sfuggita alle grinfie dell’Isis, ha chiesto al presidente Macron di accettare altri rifugiati da Sinjar. Nessuno di questi stati ciarlatani, che si comportano come se la loro intenzione fosse quella di proteggere il popolo yazida e le loro convinzioni, ha fatto il minimo sforzo per garantire che gli yazidi possano vivere nelle proprie terre in pace e sicurezza. Anzi…

Di fronte agli attacchi genocidi (e alle relative politiche di deportazione) l’unico modo in cui gli yazidi possono continuare a vivere nelle loro terre è acquisire capacità di autogoverno e autodifesa. L’approccio fino ad oggi del movimento di liberazione del Kurdistan e il supporto che offre al popolo yazida di Sinjar è sempre stato in questo quadro e in linea con questa realtà.

L’intenzione di base sia delle potenze statali regionali (compreso il KDP [Partito democratico del Kurdistan]) che delle forze straniere guidate da USA, Regno Unito e Germania è stata quella di riportare gli yazidi allo status quo precedente al 2014. L’accordo del 9 ottobre 2020 ne è l’espressione più concreta.

Gli attacchi di sgombero e occupazione diretti a Sinjar dalle forze armate irachene dovrebbero essere valutati in questo contesto. Questi attacchi non sono stati condotti solo attraverso la cooperazione tra lo stato turco fascista, i loro tirapiedi il KDP e alcuni elementi sunniti in Iraq. Nel quadro più ampio le politiche di genocidio sviluppate e attuate dalle forze della modernità capitalista in Mesopotamia sono state efficaci negli ultimi 200 anni. L’unico modo per resistere a queste politiche è insistere sull’autodeterminazione, l’autogoverno e l’autodifesa. Questa è la posizione rappresentata da Dayê Kînî [una donna yazida che ha affermato pubblicamente di recente che le donne yazide non si arrenderanno mai].

Mentre oggettivamente la migrazione di massa auspicata da alcune organizzazioni della diaspora yazida e dai loro rappresentanti sarebbe una mossa verso il completamento del genocidio, anche se questa non è la loro intenzione. Gli appelli su queste linee rivolti alle potenze internazionali finiscono per servire le politiche genocide.

Le forze che ieri hanno lasciato gli yazidi indifesi di fronte al genocidio per mano dell’ISIS stanno oggi cooperando per completare ciò che l’ISIS ha lasciato incompiuto. È una follia aspettarsi aiuto da coloro che fanno parte o anche dagli ingegneri di questo piano. Quello che bisogna fare è difendere l’autonomia di Sinjar con spirito di guerra. Non c’è altro modo.

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