Proteste molto diverse dal passato: dalla città curda di Sanandaj si sono estese a tutto il Paese, decine di province e diversi gruppi etnici, tra cui gli azeri.
Sanandaj (“Sna” in curdo), il capoluogo della provincia iraniana del Kurdistan, è diventata una delle maggiori roccaforti della “rivoluzione” contro la Repubblica islamica dell’Iran.
Subito dopo l’uccisione della giovane ragazza di origine curda Jina (Mahsa) Amini, lo scorso 16 settembre, da parte delle polizia “morale” iraniana, Sanandaj ha iniziato a ribellarsi contro il regime. Sanandaj ha così alzato la voce, facendo sentire il proprio dolore per l’uccisione della propria “figlia” in tutto il Paese.
Il popolo curdo non ha voluto che la morte di Jina fosse invano e pertanto al grido dello slogan curdo “Jin, Jiyan, Azadi” (“Donna, Vita, Libertà”, conosciuto in farsi come “Zan, Zendegi, Azadi”), ha chiesto al Paese di unirsi per mettere fine alla dittatura islamica.
Sanandaj sotto assedio
A seguito delle rivolta, Sanandaj è stata messa sotto assedio da parte delle forze di sicurezza iraniane. I residenti della cittadina, a quasi 1.500 metri sopra il livello del mare, riferiscono che la maggior parte delle forze di sicurezza che stanno occupando Sanandaj parlano arabo fra di loro. Il regime iraniano ha infatti già chiamato in proprio soccorso le sue milizie dall’Iraq, dalla Siria e dal Libano per sopprimere le proteste.
Decine di manifestanti curdi sono stati uccisi e centinaia sono stati feriti, mentre migliaia di persone sono state portate nelle carceri della provincia e sottoposte a tortura. Sanandaj è stata anche tagliata fuori da ogni forma di comunicazione. Infatti, la strada che porta ad altre città è stata posta sotto il completo controllo delle milizie Basij e l’accesso a Internet e al telefono è limitato o inesistente.
La polizia iraniana ha anche danneggiato edifici civili, per intimidire la popolazione, che adesso si ritrova sfollata. Tuttavia, Sanandaj continua a ribellarsi e a scendere per le strade, sfidando coraggiosamente la Repubblica islamica.
Subito dopo lo scoppio delle manifestazioni a Sanandaj, il sostegno alla cittadina si è diffuso ad altre città del Kurdistan ed in tutto l’Iran. Il coraggio dei curdi ha infatti ispirato altri gruppi oppressi dal regime, come il popolo del Baluchistan e di Ahwaz, e le stesse donne iraniane, a scendere per le strade contro la Repubblica islamica.
Misure occidentali insufficienti
La ribellione in corso contro la Repubblica islamica è molto diversa dalle proteste del passato. Questa è una rivolta nazionale, che ha coinvolto fino ad ora 33 contee e 173 città. Inoltre, le persone in tutto il mondo stanno stanno cominciando a capire il vero volto della Repubblica islamica. I governi occidentali hanno preso alcune misure contro il regime, ma non sono sufficienti. La popolazione iraniana è sotto pressione. Migliaia di iraniani sono stati feriti gravemente e non possono accedere agli ospedali. Le organizzazioni internazionali dovrebbero pertanto intervenire per fornire assistenza medica.
L’Occidente dovrebbe ora dare la priorità alla libertà del popolo iraniano e non ai propri interessi finanziari nel commercio di petrolio, gas e armi. Anche gli ambasciatori della Repubblica islamica dovrebbero essere espulsi dai Paesi occidentali, così come l’attuale rappresentante iraniano alle Nazioni Unite.
Anche gli azeri contro il regime
Le proteste sono in corso da più di un mese e il regime sta iniziando a perdere il controllo della maggior parte delle città e delle regioni. Le forze di sicurezza del regime sono violente e spietate, ma i manifestanti non si tirano indietro e sono pronti a continuare la rivolta per i prossimi mesi, poiché gli iraniani vogliono che la Repubblica islamica cessi di esistere. Non c’è più spazio per il dialogo. Non si torna indietro.
Tutti i popoli oppressi dell’Iran sono questa volta uniti in un solo fronte, poiché hanno capito che solo combattendo insieme possono sconfiggere la Repubblica Islamica una volta per tutte.
Vale la pena notare che anche gli azeri stanno partecipando ampiamente alla rivolta a Tabriz, capoluogo iraniano della provincia dell’Azerbaigian orientale. Durante le manifestazioni, hanno cantato anche slogan sulla fratellanza curdo-azera.
Questo è un segnale molto importante e preoccupante per il regime, dato che il Leader Supremo Ali Khamenei è lui stesso azero. Inoltre, a Urmia, una zona coabitata da curdi e azeri, le due popolazioni hanno manifestato insieme, anche se il regime ha sempre cercato di creare problemi di natura etnica fra i due gruppi.
Il popolo curdo in prima linea
Il popolo curdo e la nazione curda in generale sono sempre stati in prima linea nella lotta contro le dittature. In particolare, negli ultimi 43 anni di Repubblica islamica, il Kurdistan orientale (ovvero la provincia iraniana del Kurdistan) si è costantemente opposto al regime dittatoriale islamico, che ha negato alla popolazione curda i diritti umani fondamentali.
In queste ore, la città di Sanandaj è pesantemente bombardata, ma continua a resistere. Sanandaj è l’odierna Leningrado, che era stata messa sotto assedio dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale.
Le milizie Basij infatti assediano la città, attaccando e uccidendo senza pietà i civili. Sanandaj, come Leningrado, ha un significato simbolico. Qui è dove è iniziata la rivoluzione, ed è in questa terra che Jina Amini è nata.
Non solo per il Kurdistan
Il popolo curdo sente la responsabilità di lottare per la libertà, questa volta non solo per il Kurdistan, ma per tutto l’Iran, per il Medio Oriente e oltre. Infatti, una volta caduta la Repubblica islamica, movimenti terroristi come Hezbollah, Hamas, Jihad Islamica e regimi dittatoriali come quello di Maduro in Venezuela, sostenuti dall’Iran, si troveranno isolati e senza finanziamenti.
Quindi, la battaglia contro la Repubblica islamica iniziata da Sanandaj non è solo per un Iran libero e laico, ma è anche una guerra ideologica per un mondo più pacifico, più stabile e più sicuro.
* Arif Bawecani, Leader del Partito Serbesti Kurdistan (PSK) della provincia iraniana del Kurdistan. Anna Mahjar-Barducci è ricercatrice presso il Middle East Media Reserach Institute (MEMRI).