Mercoledì 15 febbraio 2023, nell’anniversario del sequestro di Abdullah Öcalan da parte della Turchia, terremo una iniziativa a Milano (ore 18, Chiamamilano, via Laghetto 2) per denunciare l’isolamento tombale cui il leader kurdo è sottoposto da 24 anni, la condizione dei prigionieri politici e, in generale, la sistematica violazione dei diritti umani e le politiche di genocidio che il regime di Erdogan porta avanti nei confronti del popolo kurdo.
Le popolazioni kurde, turca e siriana sono ora vittime di un terremoto di inaudita gravità che ha provocato migliaia di vittime nella notte tra il 5 e il 6 febbraio.
Si tratta di una catastrofe che è sbagliato considerare “naturale”, in quanto è aggravata nei terribili effetti da politiche speculative, di urbanizzazione selvaggia e mancata prevenzione. E, ancor di più, dalla sottrazione delle risorse pubbliche da impieghi di sicurezza e benessere sociale per essere sistematicamente dirottate verso un sistema della guerra e dell’oppressione, che è poi lo stesso che detta legge anche in Occidente con il complesso “militare-industriale” che la guerra in Ucraina sta ulteriormente rendendo ricco e potente, con la produzione bellica e con il doppio business della distruzione e della ricostruzione, nonché capace di condizionare le scelte politiche e i governi.
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Il regime di Erdogan in Turchia opprime storicamente il popolo kurdo, così come reprime sanguinosamente le opposizioni democratiche kurde e turche ed è divenuto sempre più un attore spregiudicato e interventista nel quadro geopolitico globale, cui l’Unione Europea troppe volte si è inchinata subendone i ricatti per bloccare – dietro compenso miliardario – i flussi migratori di milioni di profughi dalla guerra in Siria, ridotti a merce di scambio e ora doppiamente vittime anche del terremoto. Una catastrofe che dunque si aggiunge e si somma alle persecuzioni e violazioni dei diritti umani operate dai regimi di Erdogan e di Bashar Assad che, nel caso dei kurdi, divengono vero e proprio genocidio. Se è doveroso esprimere piena e concreta solidarietà alle popolazioni colpite dal disastroso sisma – ma di nuovo l’Occidente sta mostrando la propria ipocrisia, indirizzando gli aiuti solo verso l’alleata Turchia, membro della NATO, e negandoli a una Siria già stremata da 11 anni di guerra e dalle sanzioni di Stati Uniti e Unione Europea – non di meno è necessario proseguire nella denuncia e nella mobilitazione contro governi antidemocratici e responsabili di crimini contro l’umanità, come quello di Erdogan. Il leader del Partito dei Lavoratori del Kurdistan, Abdullah Öcalan, dopo una lunga odissea in cerca di asilo, era stato illegalmente sequestrato in Kenya dai servizi segreti della Turchia il 15 febbraio 1999, nel silenzio complice delle istituzioni europee e per responsabilità e omissione anche da parte del governo italiano D’Alema, in carica all’epoca. Deportato in Turchia, da allora è rinchiuso a Imrali, un’isola-prigione di massima sicurezza. Nonostante le dure condizioni di reclusione e una condanna a morte, poi commutata in ergastolo, Öcalan, nel 2006, ha tentato di istruire un processo di pace, sabotato e rifiutato dalla Turchia e ha continuato a essere un importante riferimento per tutto il popolo kurdo, da sempre discriminato nei suoi diritti, oggetto di persecuzione e continue violenze. Negli anni successivi, nonostante il disumano isolamento, Öcalan ha elaborato una importante e innovativa proposta sociale e politica, quella del Confederalismo democratico, tesa a costruire una società basata sull’autogoverno, orientata al consenso, aperta a tutti i gruppi etnici, multiculturale, antimonopolistica, antipatriarcale, ecologista e fondata su un’economia alternativa. Un modello di democrazia avanzata oggi sostenuto e praticato nei territori e amministrazioni a guida kurda, nonostante le persecuzioni e le aggressioni belliche cui quella popolazione è sottoposta, a cominciare dal Rojava siriano.
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Di Abdullah Öcalan non si hanno più notizie dirette dal marzo 2000: né i famigliari né i suoi legali hanno più potuto incontrarlo. La prigionia in stato di totale isolamento, che già violava gli standard minimi di tutela in materia di trattamento penitenziario dei detenuti, le cosiddette “Mandela Rules” adottate dalle Nazioni Unite nel 2015, si è fatta ora tombale. Le istituzioni europee, come spesso, non vedono, non sentono e non dicono e seguono un “doppio standard” in materia di diritti umani. Persino il Comitato per la Prevenzione della Tortura del Consiglio d’Europa, nella sua visita nelle carceri turche dal 20 al 29 settembre 2022, non ha potuto, né forse voluto, visitare Öcalan. Nonostante le richieste e denunce di centinaia di avvocati, esponenti politici, associazioni per i diritti umani e organizzazioni diverse, non si hanno più notizie di lui e anche degli altri tre prigionieri, Hamili Yıldırım, Ömer Hayri Konar e Veysi Aktaş, detenuti nella stessa prigione dal marzo 2015.
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Per provare a incrinare la cappa di silenzio verso questa tortura e verso le condizioni illegali e disumane di detenzione in Turchia, una delegazione internazionale composta da 36 persone provenienti da 7 paesi (giuristi, avvocati, politici e intellettuali) si è recata sul posto dal 25 al 27 gennaio 2023 e ha tenuto incontri con organizzazioni della società civile, associazioni di avvocati e organizzazioni legali, nonché con le famiglie dei detenuti e le loro istituzioni a Istanbul, Ankara e Diyarbakır. Il 15 febbraio 2023, a Milano, due di loro riferiranno su questi incontri e sulle informazioni raccolte direttamente riguardo questa gravissima e nascosta situazione e, in generale, sulla violazione dei diritti umani, la persecuzione politica e la negazione della democrazia in Turchia.