Il “primo sparo” echeggiò a Eruh il 15 agosto 1984 contro un edificio della polizia militare e quasi in contemporanea si ripeté contro una caserma a Semdinli. Era l’inizio della guerriglia di resistenza dell’Argk, il braccio armato del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk). La Turchia, Stato assolutista, mentre negava l’esistenza del popolo kurdo lo colpiva con massacri e deportazioni e ne vietava lingua e cultura.
Ora, dopo oltre 40 anni di un conflitto che negli anni Novanta ha toccato vertici di feroce intensità da parte del secondo esercito Nato, la guerriglia del Pkk è chiamata a deporre le armi, e a convocare un congresso per decidere le modalità del proprio scioglimento nell’ambito di un processo di pace e di democratizzazione dello stato turco. È questo il contenuto dell’appello inviato il 27 febbraio dal leader del Pkk Abdullah Öcalan con un video registrato nel corso di un incontro con tre parlamentari del partito filo kurdo DEM avvenuto nel carcere di Imrali dove Öcalan è detenuto in isolamento dal febbraio 1999.
In risposta all’appello, il 1° marzo, il Pkk ha diffuso una dichiarazione in cui si legge: «L’appello alla pace e alla società democratica è un manifesto che illumina il cammino di tutte le forze della libertà e della democrazia […]. Siamo d’accordo con il contenuto dell’appello così come è. Tuttavia vogliamo sottolineare che anche la politica democratica e le basi legali devono essere garantite […]. A partire da oggi dichiariamo un cessate il fuoco effettivo. Nessuna delle nostre forze intraprenderà azioni armate a meno che non venga attaccata». A tale dichiarazione fa eco la nipote del leader, Ayney Öcalan: «È chiaro che con questo appello è iniziato un nuovo processo storico in Kurdistan e in Medio Oriente. Ciò avrà anche un impatto importante sullo sviluppo della vita libera e della governance democratica in tutto il mondo. L’accordo sull’appello di Öcalan potrà portare stabilità anche in altre parti del Kurdistan, si verificheranno nuovi sviluppi politici e sociali e verranno compiuti passi verso la democratizzazione. Anche la crisi in Siria e Iraq potrebbe essere risolta. Stiamo attraversando quindi un periodo importante e delicato. La pace e la democrazia che deriveranno dal dialogo andranno a beneficio del mondo. Anche la Turchia ne ha bisogno, perché sta vivendo una grave crisi economica e politica».
Un appello alla pace e all’avvio di un processo di democratizzazione in Turchia che riconoscesse i diritti non soltanto del popolo kurdo ma di tutte le minoranze etniche e religiose era già stato lanciato da Öcalan nel 2013 con un video trasmesso nel corso di una gigantesca festa di Nawroz nella piazza di Amed (Diyarbakir). L’appello era il frutto di negoziati cominciati a Oslo nel 2009 tra il partito filo kurdo di allora, il leader imprigionato e la delegazione governativa guidata dall’attuale ministro degli Esteri Hakan Fidan, allora capo del Mit, il Servizio segreto. L’esercito della guerriglia non depose le armi ma rispettò a lungo il cessate il fuoco. I risultati del processo di democratizzazione furono, peraltro, irrisori e nel luglio del 2015 l’esercito turco riprese le ostilità su vasta scala.
L’attuale appello pare maturato in tempi molto brevi (https://volerelaluna.it/mondo/2024/11/13/una-nuova-fase-politica-in-kurdistan/). Paradossalmente era stato il leader del partito ultranazionalista Mhp, Devlet Bahceli, nell’ottobre scorso a sostenere l’opportunità di autorizzare la prima visita al leader in carcere dopo quattro anni di isolamento totale, durante i quali non gli era consentita nessuna comunicazione con l’esterno, neppure una telefonata con familiari o avvocati. Nel corso dell’incontro con alcuni parlamentari del Dem il leader aveva parlato della possibilità di guidare un processo di pace. Dopo l’appello del 27 febbraio il parlamentare del Dem Sirri Surreya Onder, ha comunicato che, da lunedì 10 marzo, è prevista una serie di incontri con esponenti governativi e parlamentari e che le trattative si concluderanno in tre mesi.
Il premier Erdogan si dichiara d’accordo sulla necessità di porre fine al conflitto. Ma continua la politica di repressione che in gennaio aveva portato la magistratura, totalmente asservita all’esecutivo, a incarcerare 300 parlamentari, sindaci, intellettuali per reati di opinione con l’accusa di “attività terroristiche”. Continua la destituzione dei sindaci eletti in Kurdistan, il loro arresto e il commissariamento dei comuni lasciati nelle mani di funzionari governativi (https://volerelaluna.it/mondo/2025/01/08/erdogan-e-i-curdi-tra-caute-aperture-e-repressione-permanente/). E Erdogan continua a dichiarare la volontà di eliminare l’Amministrazione autonoma del Rojava in Siria (Daanes). Allo scopo, si avvale del cosiddetto Esercito Nazionale Siriano (Ens), finanziato, armato, addestrato da Ankara e composto da jihadisti di 40 diverse nazionalità che da un mese assedia il ponte sulla diga di Tishrin sull’Eufrate, presidiato dalla popolazione, per arrivare alla città-simbolo di Kobane. L’Ens è sostenuto dai bombardamenti dell’aviazione turca, che ha fatto numerose vittime tra i civili che difendono la diga e che ha distrutto l’importantissimo ponte di Qereqozat. Dal canto suo, il 4 marzo, la Forza di Difesa Popolare (Hpg) ha comunicato che l’esercito turco, dopo la dichiarazione del cessate il fuoco, ha continuato a bombardare da terra e dall’aria le aree della guerriglia costringendola ad esercitare il suo diritto di autodifesa.
Il successo dell’iniziativa di pace ha alcune condizioni. Lo dichiara esplicitamente il Pkk: «Siamo pronti a convocare il congresso del Partito tuttavia il leader Apo (appellativo familiare di Öcalan, ndr) deve dirigerlo e guidarlo personalmente. Al leader Apo devono essere concesse le condizioni per vivere e lavorare in libertà fisica e per stabilire relazioni senza ostacoli con chi desidera» (https://volerelaluna.it/mondo/2025/02/25/turchia-liberare-oclan-per-costruire-la-pace/). Tale richiesta è ribadita dalla nipote di Apo, Ayney Öcalan, che si spinge oltre: «È essenziale un cambiamento nelle condizioni di prigionia di Öcalan, che deve essere messo in grado di stabilire un dialogo con tutti, di rivolgersi alla sua gente, di trasmettere messaggi e di ricevere visite. Non solo deve finire il suo isolamento ma deve essergli restituita la libertà. Lo Stato turco non deve temere la pace. La lotta politica democratica deve produrre soluzioni ai problemi, eliminare la povertà, la disoccupazione, la fame, l’ingiustizia e la disuguaglianza. Assicuriamoci che i miliardi di dollari invece di essere spesi per la guerra vadano direttamente a beneficio del popolo. Non dimentichiamo che la pace è anche pane, cibo e lavoro».
Con un comunicato del 28 febbraio il Kurdistan National Congress (KnK), coalizione di partiti politici e di organizzazioni della società civile di ogni parte del Kurdistan e della diaspora, ha dichiarato il proprio pieno sostegno all’appello del leader e si è impegnato a usare tutte le proprie risorse per una soluzione pacifica e democratica. Ha, tuttavia, aggiunto: «Finora la risposta internazionale è stata buona ma non è sufficiente. Facciamo appello alle potenze globali: le parole da sole non bastano, tutti gli attori rilevanti devono cogliere questa opportunità e svolgere il loro ruolo per la pace e il dialogo». In effetti la rapidità con la quale si sono avvicendati gli eventi dall’ottobre scorso potrebbe far pensare che essi siano stati preceduti e possano essere accompagnati da una concertazione internazionale. Si sono espressi a favore dell’appello di Öcalan la Casa Bianca, Londra e Berlino e il relatore per la Turchia al Parlamento europeo. Anche l’ex premier italiano D’Alema, in una dichiarazione all’Ansa, ha definito l’appello di Ocalan «un fatto positivo, un messaggio coraggioso». Tuttavia non risultano, al momento, passi concreti a sostegno del processo di pace.
Come è noto, il Pkk affida alle donne un ruolo determinante nel governo della società. E il Movimento delle Donne Libere (Tevgera Jinen Azad, Tja) si è impegnato a mobilitarsi «per l’attuazione del pensiero di Öcalan e invita tutte le donne a abbracciare la sua chiamata» anche con una forte presenza femminile nelle manifestazioni dell’8 e del 21 marzo (giorno del Nawroz, capodanno kurdo). La rivoluzione delle donne è il risultato più luminoso nato dal pensiero di Öcalan. La pace e la democrazia in questa parte del Medio oriente nasceranno dal pieno coinvolgimento delle donne libere del Kurdistan?
07-03-2025 – di: Laura Schrader
