Come compagni e compagne della Carovana Torino-Rojava ci siamo uniti alla numerosa delegazione partita dall’Italia per partecipare ai festeggiamenti del Newroz nel Nord del Kurdistan.
Approfondire la questione curda, confrontarsi sulle pratiche rivoluzionarie del confederalismo democratico, discutere di autogoverno e autonomia e preparare i prossimi passi verso il mese di Maggio quando da Torino partiremo per portare solidarietà attiva a concreta alle popolazioni del Rojava in lotta.
In città, a pochi giorni dal 21 Marzo quando in città si riuniranno milioni di persone in arrivo dai quattro angoli del Kurdistan, si respira l’aria delle grandi occasioni. Un appuntamento da sempre carico di significato, ma che quest’anno assume una portata di fondamentale importanza per l’intera popolazione che ha sostenuto, sofferto e esultato per la liberazione di Kobane dai fascisti dell’ISIS e che continua a vedere minacciata la propria esistenza.
La giornata inizia con l’incontro nella sede del BDP con le compagne del Congresso delle donne libere curde (KJA), nato nel 2003 dal lavoro dei comitati di quartiere e dalle assemblee locali. Sara, la portavoce, racconta di come le donne si siano trovate a lottare contro tre nemici: il sistema patriarcale, lo stato fascista e la società feudale.
La presa di coscienza della propria identità di donna e la capacità di autodeterminarsi è il risultato di un percorso avviato negli anni Settanta e portato avanti sino ad oggi, nonostante le resistenze di una società fortemente patriarcale e maschilista.
Dore, responsabile dell’Accademia delledonne, spiega che “ciascuno assume il proprio ruolo indipendentemente dal fatto di essere uomo o donna, il quotidiano va vissuto insieme eliminando le differenze. La libertà della donna non consiste nell’adottare a sua volta una mentalità maschilista, invertendo i ruoli, ma piuttosto nel fatto di poter decidere liberamente per se stessa”.
Concetti ribaditi anche nell’incontro successivo con i/le giovan* del BDP (Partito della pace e della democrazia) che hanno raccontato di quanto il ruolo dei più giovani rimanga fondamentale nel processo rivoluzionario di liberazione del popolo curdo. Abbiamo trovato particolarmente interessanti le tante analogie che mettono in relazione la precarizzazione delle vite dei giovani curdi con la situazione generalizzata di paesi come il nostro, fino ai paesi del resto del Medio Oriente, del Nord Africa e dell’Europa. Quasi nulle le prospettive lavorative una volta terminata l’università che insieme alle politiche che lo Stato Turco attua nelle zone a maggioranza curda produce un’emigrazione forzata verso le aree metropolitane. Qui l’assimilazione è forte. Il rischio è di vedersi defraudati di ciò che viene prodotto nel territorio sul piano economico (ad esempio buona parte dei raccolti del settore agricolo vengono poi lavorati da altre aziende sul territorio Turco), ma anche, e soprattutto, che i giovani in cerca di occupazione abbandonino il proprio territorio.
“Per questo, abbiamo deciso di proteggere la nostra terra, l’acqua e le risorse, producendo senza sfruttare il territorio. Ciò che produciamo qui, in termini economici e non, vogliamo che rimanga a disposizione della comunità e non venga utilizzato da un sistema economico che produce più di quanto serve divorando tutto e distruggendo la natura. Per questo crediamo che l’autoproduzione possa e debba essere la strada da percorrere per i giovani curdi e non solo; cooperative di giovani per autoprodurre in modo collettivo in tutti i settori dell’economia. Un valido compromesso per tenere insieme l’equilibrio ecologico con la necessità di un occupazione che consenta di vivere sul proprio territorio senza essere costretti ad andare dall’altra parte del mondo per cercare lavoro.”
All’inizio dell’incontro con la co-presidente delBDP, Hafise Ipek, veniamo interrotti più volte dal rumore degli F16. Ingenuamente pensiamo che siano diretti oltre confine per colpire l’ISIS. I compagni, invece, ci dicono che si tratta di aerei militari turchi che dall’aeroporto militare di Amed sorvolano la città per infastidire con il rumore la popolazione (e ci riescono!) per poi dirigersi verso le montagne per colpire i partigiani curdi.
Hafise ricorda i principi alla base del confederalismo democratico e ci aggiorna sugli ultimi sviluppi del processo di pace. “Le parole non bastano”, dice, “se lo stato turco non metterà in pratica le indicazioni date da Abdullah Öcalan dal carcere, si romperà il dialogo. In tutti i quartieri delle città e in tutti i villaggi si costituirà una brigata popolare e combatteremo fino alla fine”. Il governo turco si era impegnato ad avviare alcuni cambiamenti a partire dal 15 febbraio nell’ottica di una distensione. Invece, provocatoriamente, a fine febbraio Erdogan ha presentato un disegno di legge nel quale si vieta di indossare gli abiti tradizionali curdi e si permette alle forze di polizia di aprire il fuoco contro i manifestanti. “Vogliono la guerra, mentre noi spingiamo per la pace” conclude la co-presidente del BDP.
Le prossime elezioni saranno un momento importante, la speranza è che l’HDP (Partito democratico dei popoli) superi la soglia di sbarramento del 10% e riesca così ad ottenere la rappresentanza nel parlamento turco.
Ultima tappa della giornata è stata ilCongresso del popolo democratico (DTK), assemblea che riunisce comitati locali, sindacati, associazioni, comunità religiose e partiti, per un totale di 501 membri, di cui 301 eletti direttamente dalle assemblee di quartiere. Ogni gruppo etnico, religioso vi trova uno spazio. All’interno, vi è una divisione in 14 comitati i cui membri, delegati dal congresso, discutono ciascuno di una materia differente. Il congresso è l’applicazione concreta del confederalismo democratico, una pratica di autogestione, autonomia e democrazia radicale con lo scopo di far partecipare alle discussioni e decisioni tutte le etnie e vari gruppi sul territorio, cercando la rappresentazione dal livello più basso fino al congresso.
Il richiamo all’internazionalismo, all’importanza della solidarietà tra i popoli e alla diffusione di dati e informazioni sulla condizione della popolazione curda restano fondamentali. Amed si trova a 240 km circa dal confine, ma per noi Kobane, il Rojava e le pratiche dell’autogoverno non sono mai state così vicine. I racconti, le assemblee e gli sguardi delle compagne e dei compagni curdi ci consegnano la grande determinazione di un popolo che continua a lottare per la propria libertà e che vuole divenire simbolo di un modello di autodeterminazione, convivenza e condivisione per tutti coloro che credono nella libertà e nell’autonomia come valori universali da difendere, anche a costo della vita.