La Turchia non sta bombardando Isis,sta bombardando chi combatte ISIS!Da Suruc ai bombardamenti: Dieci giorni di menzogne
Il 20 luglio scorso, nella cittadina vicina al confine turco-siriano di Suruc, sono stati uccisi 32 giovani socialisti provenienti dalle più grandi città turche. Suruc è il villaggio nel quale si è dato sostegno internazionale alla resistenza di Kobane. Migliaia di attivisti da tutto il mondo, tanti anche dall’Italia, si sono recati proprio a Suruc per offrire il proprio sostegno e aiuto, mentre le guerrigliere e i guerriglieri resistevano a Kobane contro l’attacco di ISIS durante i 134 giorni di assedio. Per questo i 32 giovani socialisti erano a Suruc il 20 luglio, per continuare a dare sostegno alla ricostruzione di Kobane. Usando questo attentato come pretesto, il premier turco Ahmet Davutoglu ha deciso di entrare in azione militarmente, motivando questa decisione con la pericolosità di ISIS, e bombardandone le postazioni. Il giovane attentatore di Suruc, un 20enne che avrebbe fatto parte di un gruppo affiliato allo stato islamico, sarebbe stato “pressochè sconosciuto” alla polizia turca, ma secondo fonti stampa il suo gruppo integralista sarebbe oggi tra i più infiltrati dai servizi segreti turchi.Ma quest’attentato è stato solo un pretesto per dare il via ad una campagna militare e ad una serie di operazioni repressive di vasta portata che hanno riguardato le organizzazioni fondamentaliste vicino allo Stato Islamico solo marginalmente.
Il vero obiettivo della guerra di Erdogan
Il 24 luglio (meno di 4 giorni dopo il vile attenato di Suruc) inizia l’operazione di bombardamento contro i guerriglieri e le guerrigliere curde nelle montagne della zona di difesa di Medya. Le bombe degli F16 turche sono state sganciate per tutta la notte sulle regioni di Zap, Basyan, Gare, Avaşin e Metina. Gli aerei hanno poi colpito Xinere e Qandil e molti villaggi di civili nella regione. Alcune zone sono state colpite tre volte nel corso della stessa notte. Parallelamente è stata avviata una vasta operazione repressiva in Turchia, della stessa portata di quella del 2009 conosciuta come “operazione KCK”, che ha portato all’arresto di circa un migliaio di democratici in tutto il paese (poche decine gli arrestati tra i gruppi fondamentalisti vicino a ISIS) e causato l’uccisione di Abdullah Ozdal di 21 anni nella citta’ di Cizre (Turchia). Tra le vittime della repressione anche un bambino di 10 anni Beytullah Aydin, che è caduto mortalmente mentre veniva inseguito dalla polizia nella città di Diyarbakir il 26 luglio scorso. È dunque chiaro che la guerra scatenata da Erdogan e dal suo partito AKP è una guerra contro tutte le articolazioni del movimento di liberazione kurdo e contro una buona fetta della sinistra rivoluzionaria turca. Alle ultime elezioni politiche del 7 giugno scorso il partito di Erdogan ha visto diminuire di molto il proprio consenso, e le sue ambizioni di una riforma in senso presidenziale della Turchia sono di fatto state fermate dalla grande affermazione elettorale dell’HDP, un cartello progressista che unisce il mondo politico e sociale della sinistra kurda con l’attivismo progressista turco.
Sono passati ormai quasi due mesi dalle elezioni ma il primo ministro turco Ahmet Davutoğlu non ha ancora trovato alleati per formare un nuovo governo. Questo rende ancora più debole la posizione di Erdogan il quale, ciononostante, approfittando dell’assenza di un governo, continua a prendere decisioni illegali in maniera golpista e fascista, e con lo scopo di spingere ancora una volta i Kurdi all’angolo, etichettandoli come “terroristi”, indebolendo l’HDP, ai cui parlamentari Erdogan ha recentamente chiesto di togliere l’immunità, riproponendo la vecchia storia dei fiancheggiatori del PKK, una scusa sempre buona in Turchia quando si tratta di giustificare ampie operazioni repressive, come appunto quella in corso, accompagnata da un attacco militare di vera e propria guerra portato avanti su più piani, sia contro le postazioni dei partigiani del PKK nel nord Iraq sia contro i villaggi abitati dai civili.
È evidente come in questi mesi l’unica reale forma di opposizione all’ISIS è venuta dai combattenti delle YPG/YPJ (le unità di difesa del popolo e delle donne) che in Rojava (Siria settentrionale) da tempo combattono per fermare l’avanzata del califfato, ben sostenuto e appoggiato sul confine dalle forze di sicurezza di Erdogan. Così nell’estate scorsa erano sempre state le forze combattenti rivoluzionarie kurde a consentire a migliaia di Ezidi in fuga dall’Iraq (e dallo Stato Islamico) di salvarsi aprendo un corridoio umanitario sulle montagne di Sinjar.
La guerra di Erdogan è ancora una volta una guerra contro le istanza politiche e sociali del movimento di liberazione kurdo. La Turchia targata AKP da tempo sostiene e appoggia l’ISIS per i suoi calcoli egemonici sul medio-oriente, rifiutandosi di riconoscere la rivoluzione in Rojava e temendo più di ogni altra cosa un’entità territoriale autonoma kurda ai suoi confini meridionali. Il tutto è come sempre fatto con il beneplacido dei Paesi occidentali, Stati Uniti in testa, che hanno dato l’assenso alle operazioni turche in cambio della concessione ad utilizzare la base aerea di Incirlik, nella provincia meridionale turca di Adana. Da qui gli aerei da guerra statunitensi partiranno, secondo le dichiarazioni ufficiali, per attaccare le postazioni di ISIS in Siria e Iraq, non certo per un futuro di pace e democrazia per i popoli del medio-oriente, ma con l’obiettivo per rivolto ai giacimenti petroliferi di Mosul e Raqqa.
SOLIDARIETÀ CON LA RESISTENZA IN TUTTI I TERRITORI KURDI – LIBERTÀ PER
LE VITTIME DELLA REPRESSIONE DI ERDOGAN
SOLIDARIETÀ CON LE PIAZZE DELLA TURCHIA IN LOTTA CONTRO ERDOGAN
VIVA LA LOTTA DELLE YPG/YPJ IN ROJAVA – VIVA LA LOTTA DEL PKK
PACE SUBITO – LIBERTÀ PER OCALAN
carovana per il Rojava – Torino
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