In questi giorni, il governo turco sta portando avanti una feroce repressione contro le organizzazioni della società civile, contro i partiti kurdi e della sinistra turca, contro la guerriglia del Pkk
Giovani, studenti, lavoratori e lavoratrici, insieme al movimento kurdo, si sono ritrovati nelle strade contro un governo autoritario e repressivo che sta portando il Paese verso la guerra civile: entra nelle case di notte, arresta, uccide per strada, sequestra i corpi dei martiri, attacca militarmente i cortei.
Nel ricercare consensi, visto che non riesce a superare l’impasse e a formare un nuovo governo, Erdogan si prepara a nuove elezioni e lo scopo è quello di spingere ancora una volta i kurdi nell’angolo, etichettandoli come “terroristi”, indebolendo, ovvero mettendo fuorilegge l’Hdp, il partito della democrazia dei popoli, vincitore alle ultime elezioni del 7 giugno di quest’anno.Tutto questo, mentre sui monti Kandil, nel Kurdistan iracheno, dove si sono ritirati i guerriglieri del Pkk, da giorni, continuano incessanti i bombardamenti dell’aviazione turca, che semina morte e distruzione anche tra i civili dei villaggi vicini.
Solo un anno fa, i kurdi del Pkk hanno difeso e portato in salvo dalla furia dell’ISIS ventimila ezidi che rischiavano di morire di fame e di sete sui monti del Shengiar. Senza tralasciare la difesa eroica della città di Kobane, la kurda Kobane, la Stalingrado del Medio Oriente, che, quasi da sola, pagando un prezzo altissimo in termini di vite umane, è riuscita a sconfiggere i miliziani dello Stato islamico.Oggi, invece, la Turchia, utilizzando il pretesto di far guerra all’ISIS, cerca di regolare definitivamente i conti con la questione kurda.
E che ne è del processo di pace che era in corso tra Ocalan e lo Stato turco?
Definitivamente interrotto, con Ocalan rinchiuso nella prigione dell’isola di Imrali in totale isolamento: da quattro mesi, non può vedere neanche i propri avvocati!
E la comunità internazionale, quella dei summit, dov’è? Silente, se non connivente, tutta intenta a tutelare i propri interessi in quell’area..
Dice un proverbio: i kurdi non hanno amici, non hanno ripari, non hanno santuari, gli unici amici che hanno siamo noi, sono i popoli.
Per questo non possiamo stare in silenzio. Manifestare, protestare, dissentire: questo è quello che dobbiamo fare.