La situazione delle donne tra i profughi yezidi nelle prime settimane della fuga verso il Kurdistan settentrionale si è distinta per via del fatto che le donne soffrivano di profonde esperienze traumatiche. Molte delle donne riuscivano a stento a camminare erette ed erano ammutolite per lo shock. Solo con l’uso di antidepressivi per ora si è riusciti a dare aiuto alle donne.
È possibile partire da diverse fasi del profondo trauma:
- Quando sono venute a conoscenza che Stato Islamico (IS) attacava Şhengal.
- L’accerchiamento nelle montagne di Şhengal-Bergen e la morte di molte persone – in particolare bambini e anziani – per fame e per sete.
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La paura che i e le combattenti delle HPG / YJA-Star (Unità di Difesa del PKK), delle Unità di Difesa del Popolo YPG e delle Donne YPJ del Rojava/Siria settentrionale non sarebbero bastati per creare un corridoio sicuro per la fuga di decine di migliaia di yezidi in un territorio conquistato da IS.
- L’ulteriore fuga verso il Kurdistan settentrionale.
- Per coloro che hanno raggiunto il confine con la Bulgaria, il ritorno nei campi (verso la Bulgaria perché si sperava di raggiungere l’Europa attraversando il confine della Bulgaria)
Molte donne non volevano appoggiare il passo verso la Bulgaria, ma per una conseguente reazione dei loro uomini non hanno avuto il coraggio di pronunciarsi in modo contrario.
Per settimane i bisogni delle donne hanno incontrato poca attenzione – si era troppo occupati con bisogni materiali e tecnici come tende, abbigliamento, cibo, ecc. Tuttavia in tutti i campi yezidi nel Kurdistan settentrionale nella direzione dei campi c’erano sempre donne che erano a disposizione come persone di riferimento e contatto per le donne yezide. Attraverso la creazione anche le donne sono alleggerite di un carico. Anche le tende delle donne con gli atelier (tende per la cucitura, sartorie, „artigianato femminile“ in generale) creano occupazione per le donne e riescono più o meno a distrarle per un breve tempo dagli eventi che si sono verificati. Fondamentalmente la vita nella fuga non ha migliorato la condizione delle donne all’interno della società. Come di consueto i lavori domestici, la cura die bambini, ecc., restano in carico alle donne.
Raramente i pensieri profondi, le ferite e le preoccupazioni trovano espressione in modo esplicito. Dopo che una giovane donna si è tolta la vita nel campo ad Amed (Diyarbakır) il lavoro con le donne traumatizzate ha raggiunto un apice. Il lavoro con le yezide viene curato da specialisti più di quanto sia avvenuto in precedenza. A questo proposito ad Amed è anche in costruzione un centro di riabilitazione.
Le donne che hanno vissuto la prigionia di IS hanno bisogno di cure particolarmente intense. Tuttavia molti uomini yezidi nei campi valutano sempre con sospetto questo lavoro separato con le donne, dato che in tempi recenti hanno subito IS esperienze estremamente brutali da parte di IS, che tuttora trattiene, vende, maltratta e violenta ancora circa 4.000 donne e bambini yezidi. In una società in cui la donna è considerata come „l‘onore“ dell’uomo e della società, l’umiliazione della donna è allo stesso tempo quella dell’uomo e quindi un’onta all’interno della società.
Con le famiglie che non vogliono più accogliere le donne che sono state liberate dalla prigionia di IS vengono condotti intensi colloqui. Il Consiglio Yezida degli Anziani a Laliş (citta sacra degli yezidi / Tempio del Sole e del Fuoco) dopo il 3 agosto 2014 ha deciso relativamente presto che le donne liberate dalla prigionia di IS dovevano continuare a essere riconosciute come yezide.
Esempi dal Kurdistan meridionale e dal Rojava (Kurdistan occidentale) mostrano che quelle donne che sono state liberate o che sono riuscite a liberarsi dalla prigionia di IS in parte si tolgono la vita o vanno a combattere IS.
Dr. Leyla Ferman, agosto 2015
L’autrice Dr. Leyla Ferman è attiva come consulte dell’amministrazione cittadina di Mêrdin (Mardin) e componente della presidenza della Federazione della Associazioni Yezide
Fonte: http://civaka-azad.org/situation-der-ezidischen-frauen-unter-den-fluechtlingen-nord-kurdistan-suedost-tuerkei/