Cemil Bayik è il numero due del PKK. Nell’ambito del conflitto con la Turchia, esige mediatori internazionali
Bayik aveva 18 anni ed era studente ad Ankara, quando si unì al gruppo che ruotava attorno ad Abdullah Ocalan. Da quel gruppo emerse nel 1978 il Partito dei Lavoratori. Da allora Bayik appartiene al novero dei dirigenti del PKK. Oggi 60enne, è uno dei copresidenti dell’organizzazione-ombrello KCK (Unione delle Comunità del Kurdistan) e funge da rappresentante di Ocalan, da 16 anni rinchiuso in un carcere turco. L’intervista si è svolta nella catena montuosa di Qandil.
WaS: Da quattro settimane la Turchia bombarda Stato e il PKK. Stato Islamico è indebolito?
CB: Stato Islamico era già indebolito in precedenza. Vi è un traguardo che la Turchia si prefigge con l’operazione contro il PKK, quello di proteggere Stato Islamico. La Turchia non contrasta Stato Islamico.
WaS: No?
CB: No. Erdogan punta all’egemonia in Medio Oriente, dopo il califfato. Stato Islamico appartiene al fronte sunnita contro i kurdi del Rojava e contro il dittatore siriano Assad. E Stato Islamico non è per Erdogan meramente uno strumento. Vi è vicinanza ideologica. Tuttavia la pressione internazionale è cresciuta a un punto tale che la Turchia per salvare le proprie apparenze doveva far qualcosa.
WaS: Tuttavia Stato Islamico ha reso pubblico di recente un video antiturco.
CB: Stato Islamico asserisce che la Turchia è nel mezzo, accerchiata, fra il PKK da un lato e i “crociati” dall’altro. Più o meno, il governo turco dell’AKP dice la stessa cosa.
WaS: E il PKK è indebolito?
CB: No. Abbiamo preso le necessarie contromisure. Naturalmente, però, la guerra ci impegna, e così la lotta contro Stato Islamico.
WaS: Chi ha interrotto la tregua?
CB: Erdogan. Questa guerra non è cominciata quando due poliziotti sono stati uccisi a Ceylanpinar, nella Turchia orientale, ma molto prima. Da aprile nessuno può far visita al Presidente Apo.
WaS: Vale a dire, Ocalan.
CB: Ed Erdogan ha dichiarato nulli tutti i risultati conseguiti. Ha detto: “Non vi sono trattative, non vi è un partner, non esiste una questione curda”. Voleva vincere le elezioni con un approccio aggressivo. Pensava che la guerriglia del PKK avrebbe risposto al colpo inferto un occasione di un raduno dell’HDP a Diyarbakir. Un contrattacco avrebbe fornito la base da utilizzare per accantonare le elezioni. Non siamo però caduti in questa trappola. Poi l’HDP ha infranto i sogni di Erdogan riguardo al sistema presidenziale e l’AKP ha fatto registrare un crollo. Per vendetta, si è giunti a ulteriori attacchi in Turchia.
WaS: E l’uccisione di poliziotti a Ceylanpinar è opera del PKK?
CB: No, di persone che si autodefiniscono seguaci di Apo.
WaS: Dunque sostenitori di Ocalan. Voi non avete però condannato le uccisioni.
CB: Nel frattempo questo attacco veniva strumentalizzato contro di noi.
WaS: Tuttavia ora siete in guerra.
CB: Non siamo in guerra, ci avvaliamo solo del nostro diritto alla ritorsione.
WaS: In alcune città kurde nell’ultima settimana sembrava essere in corso una guerra.
CB: Lì i giovani si difendono e difendono il popolo, in maniera amatoriale, dagli attacchi dello stato. Lo stato agisce al contrario con tutte le sue forze. Se continueranno ad agire contro il popolo, ordineremo ai guerriglieri di recarsi nelle città: abbiamo già preavvisato.
WaS: Sarebbe la guerra…
CB: Se la Turchia persiste in tale politica la guerriglia potrebbe essere trascinata nel conflitto. Non vogliamo però questo. Sappiamo che l’HDP è il vero obiettivo dell’operazione militare.
WaS: Perché?
CB: Attraverso la politica del rinnegamento e dell’annientamento in Turchia altre minoranze sono state vicine alla sparizione. I curdi, però, non solo si sono difesi da ciò, ma hanno anche ridato vita alle altre minoranze, portandole attraverso l’HDP alla rappresentanza parlamentare. Ora Erdogan si comporta come se le elezioni non ci fossero state. Cerca di screditare l’HDP affinché non sia rieletto al Parlamento.
WaS: L’HDP non implica una perdita di potere per il PKK?
CB: No. E’ stata la lotta del PKK a far emergere l’HDP. Il Presidente Apo ha trainato i kurdi e le sinistre in Parlamento, per risolvere lì la questione curda e altri problemi. Questo è il compito dell’HDP. Non c’è soluzione senza l’HDP.
WaS: Non nuocete all’HDP parlando di “diritto alla ritorsione”?
CB: No. Erdogan pensava: “Posso attaccare, e il PKK non ha come replicare. E anche se replica, posso usare i curdi”. Vale a dire: contro HDP e PKK, cha avevano acquisito rilevanza internazionale lottando contro Stato Islamico.
WaS: Il piano comunque prosegue.
CB: No, ora tutti sanno quali sono le motivazioni che spingono Erdogan. Egli ha tuttavia innescato un processo: non ha tenuto conto del parlamento e, almeno a livello locale, il popolo comincia a intavolare relazioni sul piano democratico.
WaS: Il capo dell’HDP, Demirtas, ha esortato entrambe le parti a porre fine all’escalation.
CB: Non soltanto lui. Riteniamo validi tali appelli. Crediamo che né la Turchia né noi possiamo risolvere i problemi con le armi. Tuttavia otto volte abbiamo proclamato cessate-il-fuoco unilaterali e iniziato ad arretrare le nostre unità; e la Turchia ci ha prima intrattenuto e poi ha rinnegato ogni cosa.
WaS: Per una tregua, cosa dovrebbe accadere?
CB: Non vi sarà più una tregua unilaterale. Anche la Turchia dovrebbe dichiararne una, ufficialmente. Una commissione indipendente dovrebbe sorvegliarne la tenuta. Poi dovrebbero aver luogo colloqui su un piano paritario e libero e il Presidente Apo dovrebbe essere riconosciuto come colui che conduce i colloqui. E abbiamo bisogno di una parte terza mediatrice. Solo così possiamo essere sicuri che all’improvviso la Turchia non contesti tutto.
WaS: Chi potrebbe essere? Gli Stati Uniti?
CB: Lo abbiamo già proposto più volte.
WaS: Lo crede veramente?
CB: Perché no? Gli Stati Uniti hanno mediato anche in Irlanda del Nord.
WaS: Ha contatti con gli Stati Uniti?
CB: Sì.
WaS: Il governo statunitense contesta questo.
CB: Gli Stati Uniti vogliono coinvolgere la Turchia nella guerra contro Stato Islamico e pertanto tengono conto dei punti sensibili della Turchia.
WaS: Gli Stati Uniti hanno approvato gli attacchi al PKK?
CB: Invero non lo dicono, ma io lo credo: se gli Stati Uniti non avessero dato il via libera, non sarebbe avvenuto nulla. D’altro canto gli USA sanno che il movimento di liberazione curdo è stato il più efficace contro Stato Islamico. La coalizione ha bisogno sia della Turchia che del PKK.
WaS: Come potrebbe configurarsi una soluzione durevole?
CB: La Turchia deve riconoscere che una questione curda esiste. Anche Erdogan ha parlato solo di “problemi dei cittadini di origine curda” e mai di problema di libertà di un popolo.
WaS: Tuttavia la televisione ha un canale in lingua curda e negli uffici locali si parla anche curdo.
CB: Noi combattiamo da 40 anni. Naturalmente ciò ha costretto la Turchia a intraprendere alcuni passi. Tuttavia sono stati piccoli passi, per evitare quelli grandi. La questione curda deve essere accettata nella costituzione, la pressione nei confronti dell’identità curda deve cessare. Il curdo deve diventare lingua di formazione. E i curdi devono potersi autogovernare nelle amministrazioni locali.
WaS: Allora deporreste le armi?
CB: Porre fine alla lotta armata e deporre le armi sono due cose diverse. Fin quando il problema curdo non sarà risolto e il pericolo dello Stato Islamico permarrà, nessuno potrà pretendere che deponiamo le armi. Non combattiamo soltanto per i curdi. Combattere contro Stato Islamico significa combattere per l’umanità.
WaS: Qual è il maggior successo del PKK?
CB: La liberazione delle donne.
WaS: E qual è stato il suo più grosso errore?
CB: Chiunque combatta, incorre in errori.
WaS: L’ex funzionario del PKK Selim Cürükkaya scrive che vari quadri sono morti per esecuzioni interne, più che per gli scontri armati o per le torture.
CB: Non corrisponde al vero. Sì, vi sono state esecuzioni interne. E in via postuma il PKK ha restituito l’onore a molte vittime. Sa chi è il responsabile per la maggior parte delle esecuzioni? Gente che oggi incolpa il PKK. E tuttavia allora apparteneva al PKK. Noi ci assumiamo le nostre responsabilità.
WaS: Anche per le uccisioni di insegnanti o di appartenenti alla milizia dei guardiani di villaggio, uccisi assieme ai loro familiari?
CB: Nessuno dei responsabili di azioni contro i guardiani di villaggio fa oggi parte del PKK. Nel congresso del 1990, il quarto, chiedemmo scusa pubblicamente. E proponiamo che commissioni per la verità, come in Sudafrica, svolgano ricerche su quel che abbiamo fatto noi e quel che ha fatto lo stato. Tuttavia proposte simili giungono solo da noi, non dallo stato.
WaS: Quale linguaggio parla davvero il PKK?
Cb: In precedenza soprattutto il turco, oggi il 70% dei documenti sono redatti in curdo.
WaS: All’interno del PKK si scrivono molti rapporti?
CB: Sì, chiunque ne scrive, i funzionari, i combattenti e anche io.
WaS: Vengono archiviati?
CB: Costituiscono la nostra storia, come potremmo distruggerli?
WaS: Lei ha appreso solo tardi il curdo, vero?
CB: Sì, ero negli internati statali ed ero turchizzato. Soltanto dopo che il mio amico Kemal Pir mi aveva fatto conoscere il Presidente Apo, appresi di essere curdo. Ne sono tuttora grato a Kemal Pir.
WaS: Pir era turco e morì nel 1982, durante uno sciopero della fame in carcere.
CB: Fu per me il momento più duro.
WaS: Lei ha pianto?
CB: Un po’. Tuttavia non mi lasciai impressionare.
[Welt am Sonntag, 23 agosto 2015, pag. 8; intervistatore Deniz Yücel]