Gli stati nazionali del Vicino e del Medio Oriente che si basano sul sistema mondiale imperante sono nel declino. Come risultato dovranno o introdurre modifiche strutturali o crolleranno su se stessi. Uno di questi stati è l’Iran. Analogamente al regime dell’AKP in Turchia la leadership iraniana ha perso la capacità di cambiare sia verso l’interno sia verso l‘esterno. Il regime iraniano invece aspira a mantenere il suo dominio fino a quando possibile e in questo senso prende tempo. Le lotte nella regione rispecchiano la terza guerra mondiale in cui si determina anche il destino dell‘Iran. Da questo punto di vista anche in questo caso si tratta di un attore importante nell’attuale caos nel Vicino e nel Medio Oriente.
L‘Iran da diversi anni è impelagato in trattative con stati guida della Comunità Internazionale. Da anni ci sforza di risolvere con esso il problema del nucleare. In questo si delinea la sua modalità di procedere: appena gli stati guidati dagli USA dimostrano forza, l‘Iran punta su una retorica morbida. Ma appena la politica dell’occidente nella regione mostra punti deboli, si posiziona dietro ai suoi maggiori sostenitori Russia e Cina e dietro ad alcuni stati della regione che vogliono mantenere lo status quo e polarizza non solo con le sue dichiarazioni politiche, ma forza un modo di procedere politico radicale. Allora si punta soprattutto sul sostegno a raggruppamenti islamisti radicali, mentre all’interno del paese vengono calpestati i diritti umani, gli oppositori portati sulla forca. Simili massacri non vengono nascosti, ma compiuti consapevolmente in modo pubblico. Attualmente l’Iran segue una rotta di riconciliazione con i paesi occidentali, mentre nel proprio paese la frusta colpisce sempre più duramente. Richieste di rispetto dei diritti umani e dei diritti democratici fondamentali e di libertà politica e sociale sono diventati vittime dell’attuale congiuntura politica. Nelle trattative sul nucleare ha tratto abilmente vantaggio da questo. Naturalmente la mancanza di carattere del sistema mondiale è determinante, dato che si tratta solo degli interessi propri dei rispettivi stati.
Nel periodo dal 2014 all’inizio del 2015 le potenze mondiali leader sono state solo spettatrici dell’espansione militare del cosiddetto Stato Islamico (IS). Non era distinguibile una posizione chiara contro di esso. L‘Iran invece ha aumentato le sue aspirazioni di potere nella regione. Per sostenere il regime sciita in Iraq, davanti agli occhi dell’opinione pubblica mondiale sono stati mandati in Iraq i Sepah (Guardiani Rivoluzionari e Unità di Contras). In Siria sono stati impiegati sia soldati propri che compiuti rilevanti sforzi per il sostegno logistico. Tramite Bashar al-Assad è stato dichiarato il sostegno agli Huthi nella guerra in Yemen. In modo analogo sono stati sostenuti gli sciiti in Bahrain, anche in quel caso ci si sforzata di raggiungere un rapido cambio di governo. L’Iran già da tempo è impegnato a trarre profitto politico dalla politica di oppressione del Bahrain nei confronti degli sciiti. In seguito alla politica di aggressione dell’Iran in particolare contro stati (vicini) arabi nella regione, ormai si può parlare di una guerra confessionale tra sunniti e sciiti. A questo proposito si può dire che l’Iran in questo periodo ha potuto rafforzare la sua posizione sia dal punto di vista politico che militare. Anche dopo le elezioni del 2013 nella Regione Autonoma del Kurdistan (KRG) nel nord Iraq, l’Iran ha esercitato lì la propria influenza. Dopo rilevanti perdite di voti del Partito Democratico del Kurdistan (PDK) si è verificata una crisi politica perché per mesi non è stato possibile formare un governo. In seguito è intervenuto l’Iran e ha riunito i partiti curdi di Hewlêr (Arbil) e Silêmanî (Sulaimaniyya). Si è formato un nuovo sistema di governo nel Kurdistan meridionale, secondo gli interessi iraniani.
Durante le trattative con gli stati occidentali l‘Iran insieme alle truppe di Assad ha attaccato Hesekê (al-Hasaka) e Serê Kaniyê (Ras al-Ayn), con l’obiettivo di indebolire le forze liberali del Rodava e le conquiste curde. Allo stesso modo nel Kurdistan orientale a Kirmaşan (Kermanschah) e Sine (Sanandaj) sono stati attaccati più volte i combattenti delle YRK (Unità di Difesa del Kurdistan orientale), mente contemporaneamente venivano mobilitate truppe iraniane al confine davanti a Qandil e Xinerê. Non si trattava tanto di guerra psicologica al più alto livello, ma anche di un segnale per la fase futura.
In questo anno in cui è stato stipulato l’accordo con il P5+1, l‘Iran nella regione si è tenuto indietro per alcuni mesi. L’accordo è dovuto a determinate concessioni che per anni aveva considerato tradimento e capitolazione. Queste si sono verificate solo dopo che la Comunità Internazionale ha deciso di procedere in modo attivo contro IS.
Nel periodo immediatamente precedente all’accordo, l‘Iran ha taciuto sul modo di procedere della coalizione internazionale anti-IS, i suoi soldati in Iraq si tenevano in disparte. Anche il sostegno per gli Huthi in Yemen venne diminuito. Scelse di nuovo il metodo di una politica morbida verso l’esterno e della mano pesante verso l‘interno. All’interno del paese veniva calpestato qualsiasi diritto umano, ulteriormente aumentata la repressione da parte dello stato, i boschi del Kurdistan orientale più volte incendiati. Il numero di contrabbandieri assassinati o feriti nelle regioni di confine dell’Iran è cresciuto rapidamente. Il numero di arresti e carcerazioni di attivisti politici e sociali si è moltiplicato. Dozzine di giovani curdi sono stati arrestati. Alcuni curdi e curde attivi politicamente come Sîrwan Nîjawî e Mensur Arwend sono stati impiccati.
In parallelo a questa politica sporca dell‘Iran sono stati intensificati anche gli attacchi del regime dell’AKP nel Kurdistan del nord. Con il superamento della soglia elettorale da parte del Partito Democratico dei Popoli (HDP) l‘AKP ha perso la sua maggioranza e così non ha potuto formare il governo da solo. A questo ha reagito con l’interruzione del processo di soluzione e una guerra brutale nel Kurdistan del nord. L’atteggiamento della Turchia e dell’Iran nei confronti della popolazione curda nel Rojava, nel Kurdistan del nord e orientale non un prodotto del caso. È invece riconoscibile un procedere coordinato. Entrambi gli stati mirano a indebolire la volontà di libertà curda e a liquidare il movimento di liberazione curdo. Perché solo così può essere mantenuto lo status quo che si basa sulla negazione e l’annientamento.
Dopo l’accordo sul nucleare si sono delineate le prime discrepanze all’interno del regime iraniano. Diversi blocchi si sono fatti notare con una retorica aggressiva. Con la proclamazione delle trattative sul nucleare a Ginevra da parte del Ministro degli Esteri Mohammad Jawad Zarif, che contemporaneamente fungeva da mediatore nel deal atomico, in Iran si sono formate due frazioni politiche. Una è il blocco riformista e liberale che ha valutato positivamente l’accordo e lo ha interpretato come una vittoria dell‘Iran. Così il Ministro degli Esteri Zarif è stato accolto come eroe nazionale. Questo blocco attraverso l’accordo ha migliorato le sue prospettive per le elezioni parlamentari del prossimo anno.
L’altra ala che è costituita dai mullah religiosi, dai Sepah, da islamisti radical-conservatori e altre forze di governo all’interno del sistema, ha interpretato l’accordo in modo molto differenziato. Soprattutto i religiosi radical-conservatori che da anni avevano usato una retorica aggressiva nei confronti degli USA che definiscono come nemici di Dio hanno espresso le loro proteste attraverso i media. Così l’accordo nucleare è stato valutato come la capitolazione dell’Iran. I mediatori nelle trattative e il presidente Rohani sono stati persino definiti traditori.
Nella cultura politica del regime della Repubblica Islamica dell’Iran degli ultimi 36 anni è previsto che in caso di gravi contraddizioni l’ultima parola spetti alla guida religiosa alla quale tutti sono sottomessi. Perché secondo la costituzione è considerata il rappresentante di Dio.
Il leader religioso Ali Khamenei ha valutato positivamente l‘accordo. Ha però ammonito che le discrepanze tra le forze all’interno del paese, per quanto piccole, vanno rimosse al più presto e che nessuno deve tollerare che l’Iran perda il suo prestigio all‘esterno. Tuttavia anche lui ha più volte criticato l’accordo. La doppiezza in Iran continua il suo corso. Tutte le aree valutano l’accordo secondo il proprio interesse e con i propri calcoli sono già arrivati alle elezioni del 2016.
IS nel giro di pochi mesi aveva conquistato numerose regioni in Iraq e in Siria. Si era diffuso il mito che fosse inarrestabile. Anche nel Kurdistan meridionale aveva guadagnato terreno in un tempo relativamente breve, aveva occupato aree intorno a Xaneqîn (Chanaqin), a Kerkûk (Kirkuk), Şengal (Sinjar) e intorno a Maxmur. Il governo del Kurdistan del sud era sotto pressione dato che i peshmerga non riuscivano a tenere testa agli attacchi e avevano dovuto subire pesanti perdite. A Şhengal invece i peshmerga del PDK non fecero nemmeno resistenza e fuggirono davanti a IS lasciando indietro la popolazione indifesa.
A seguito di questo i combattenti per la libertà del popolo curdo sotto la guida della guerriglia si avviarono verso Xaneqîn, Kerkûk, Maxmur e il Rojava per difendere la popolazione dagli attacchi di IS. Su numerosi fronti venne combattuto con coraggio e per la prima volta una forza fu in grado di opporsi in modo efficace a IS e di farlo indietreggiare. Il suo mito era spezzato. Quello che gli stati Siria e Iraq non erano stati in grado di fare, lo realizzarono i e le combattenti delle Unità di Difesa del Popolo (HPG), delle Unità delle Donne Libere (YJA-Star), delle Unità di Difesa del Popolo e delle Donne (YPG e YPJ). In quel momento l’Iran attacca il popolo curdo in modo diretto, e l‘AKP in modo indiretto. Entrambi aspiravano a trarre profitto dalle contraddizioni internazionali e regionali rispetto ai curdi e alla Siria.
La guerra civile in Siria dura da tre anni. Il suo futuro è molto poco chiaro. L’unica cosa che sembra essere chiara è che viene formato un nuovo governo.
Assad non deve essere parte del governo. L’Iran, la Cina e la Russia fino ad ora hanno sempre dichiarato il proprio sostegno al regime di Assad ed escluso un governo senza di lui. Il presidente russo Vladimir Putin ha fatto legittimare l’intervento militare in Siria dalla Duma. Ci sono sia critica che sostegno per gli attacchi aerei russi. Alcune cerchie collegano l’intervento attivo russo nel conflitto siriano con l’inizio ufficiale della terza guerra mondiale.
Dopo i primi attacchi aerei russi in Siria l‘Iran ha di nuovo aumentato il suo sostegno per gli Huthi in Yemen. Dopo la morte di diversi pellegrini iraniani alla Mecca si sono nuovamente verificate tensioni tra Iran e Arabia Saudita. Poco dopo Iran e Bahrain hanno interrotto le loro relazioni diplomatiche e le tensioni tra Teheran e gli stati arabi sunniti si sono acuite.
L’unica cosa che sembra essere chiara al momento è che con un peggioramento dei rapporti tra i sostenitori di IS (Qatar, Bahrain, Arabia Saudita e Turchia) e i sostenitori di Assad (Iran, Cina e Russia) la crisi siriana e i combattimenti si acuiscono allo stesso modo.
Entrambi i blocchi in Iran, sia quello radicale che quello riformista, si distinguono solo nella loro retorica politica, ma non nella pratica. È caratteristico del sistema mondiale e degli stati di questi tempi è che diversi gruppi raggiungono il potere, ma che non si notano particolari differenze nella pratica e nella politica. La politica di repressione nei confronti della libertà, della democrazia e dei diritti umani non cambia. In questo senso vanno valutate le elezioni parlamentari in Iran il prossimo anno. È possibile pronosticare che il blocco radical-conservatore ha le possibilità maggiori.
Dopo la soluzione della crisi siriana, gli sguardi di tutti si concentreranno sull‘Iran. O dovrà indurre autonomamente un cambiamento di sistema o vi verrà costretto da influenze esterne e interne. Anche per questo è interessato al fatto che Assad mantenga il potere e vuole mantenere lo status quo in Siria. Con questo verrebbero deluse le speranze dei popoli. Anni di guerra sarebbero stati vani, in centinaia di migliaia avrebbero perso la vita in vano.
La lotta del movimento di liberazione curdo e la costruzione di un nuovo sistema sociale nel Rojava rendono chiaro che un cambiamento in Siria è inevitabile. Una democratizzazione del sistema insieme alle curde e ai curdi è necessaria. Tutto il resto non lo accetterebbero. La costruzione del sistema del Rojava negli ultimi tre anni in questo funge da garante. Perché il cambiamento della Siria ha effetti su tutta la regione e quindi porterà anche alla caduta dello status quo.
L‘Iran ha perso la sua capacità di cambiare in modo autonomo. Il sistema trae la sua legittimazione dall’arretratezza regionale. L’Iran adegua la sua tattica e strategia alla congiuntura globale e regionale. Attraverso la caduta dello status quo all‘Iran viene sottratta la base per la sua legittimazione. L’avanguardia di questo processo di trasformazione è indubbiamente il movimento di liberazione curdo. Questo esprime soprattutto in forma di una repressione fatta di esecuzioni, tortura e carcerazione di curde e curdi in Iran. L’Iran è consapevole che se le curde e curdi conquistano uno status in Siria e in Turchia, sarà costretto anch‘esso a cambiare. Ma un cambiamento porterebbe con sé la perdita del sistema esistente. Nell’occhio della terza guerra mondiale le curde e i curdi rappresenteranno la forza dinamica del cambiamento e modificare anche l‘Iran.
Omer Hojebrî, da Kurdistan Report n. 182,