Femministe hanno sono impegnate nel presidio permanente per Öcalan davanti al Comitato per la Prevenzione della Tortura. Colloquio con Meliha Danisir. Meliha Danisir è portavoce del Consiglio delle Donne Curde Amara
Giovedì oltre mille attiviste e attivisti europei hanno manifestato a Strasburgo davanti al Parlamento Europeo. Hanno chiesto al »Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura e di Trattamenti o Pene disumani o degradanti«, CPT, che ha sede presso il Consiglio Europeo, di impegnarsi ora in modo deciso per la liberazione di Abdullah Öcalan. Quali sono le ragioni per la partecipazione del Consiglio delle Donne Amara di Francoforte sul Meno?
In particolare noi femministe del movimento delle donne curde facciamo appello al comitato europeo CPT perché ora si impegni in modo più energico per la sua liberazione. In questo modo vogliamo difendere una persona attiva che lotta insieme a noi per i diritti delle donne: A dei macho come il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan invece piacerebbe molto relegarci di nuovo in casa e ai fornelli, che pendessimo in modo sottomesso dalle labbra di un uomo. Invece noi ci ribelliamo. Abdullah Öcalan dal 1999 viene tenuto prigioniero in condizioni indegne di un essere umano nell’isola carcere turca di Imrali. È noto che le sue condizioni di salute da tempo sono molto compresse. Visite dei suoi avvocati e dei suoi parenti sono state già negate in modo arbitrario in passato. Non sappiamo nemmeno se Öcalan sia ancora vivo. Per quanto ne so, dall’ulitma visita di suo fratello l’11 settembre 2016, nessuno ha più potuto vederlo. Siamo preoccupate.
Alla manifestazione a Strasburgo hanno parlato sia Francis Wurtz, politico del Partito Comunista francese, Parti Communiste Français (PCF), ex presidente del gruppo della Sinistra Europea Unita/Sinistra Verde Nordica nel Parlamento UE sia la britannica Julie Ward, componente del Labour Party, gruppo dell’Alleanza Progressista dei Socialdemocratici nel Parlamento Europeo. Le loro richieste ora troveranno ascolto?
Certamente siamo contente che nel Parlamento Europeo si sia sparsa la voce che così non si puàò andare avanti. Ma il punto è questo: da un lato il CPT chiede la revoca dell’isolamento di Öcalan, dall’altro il Consiglio d’Europa non fa passi per dare forza alla richiesta di una delle sue istituzioni. Noi in ogni caso non accetteremo che un Paese come la Turchia, rinchiuda in carcere migliaia di persone, faccia prigionieri politici tra i deputati del partito di opposizione HDP, Halklarin Demokratik Partisi, mentre l’UE sta a guardare queste manovre come se non stesse succedendo niente. Questa Turchia sotto il regime dell’AKP di Erdogan sta diventando uno Stato nel quale il sistema giuridico è in larga misura abrogato.
Il Consiglio delle Donne Amara va sempre alle manifestazioni e le pubblicizza sulla sua pagina Facebook. Ma questa viene bloccata continuamente. Come mai?
Ogni volta che postiamo foto di manifestazioni dove si vedono bandiere con l’immagine di Abdullah Öcalan la nostra pagina viene bloccata. Allora ne apriamo una nuova, le cambiamo nome, così ogni volta perdiamo persone che ci seguono. Quasi 1.000 interessati volevano sapere come sosteniamo i diritti delle donne – ora sono solo 30. Proprio come alcuni deputati del Parlamento UE ci impegniamo per la liberazione di Öcalan, ma non possiamo più informarne l’opinione pubblica su Internet. Troviamo insopportabile che un’impresa come Facebook manipoli in questo modo l’espressione e la percezione di opinioni democratiche e con questo eserciti influenza politica. Nella Costituzione tedesca la libertà di opinione è garantita, ma questa impresa capitalista la plasma secondo il suo schema di valori e la limita.
Che altro chiedete?
Il CTP deve immediatamente visitare Öcalan in carcere sull’isola turca di Imrali e rendere pubblico quello che viene a sapere su di lui. Noi ci aspettiamo più pressione sulla Turchia da parte del Parlamento Europeo, per spingerla al rispetto della Convenzione sui Diritti Umani.
Intervista: Gitta Düperthal