Agli occhi del mondo,Recep Tayyip Erdoğan, presidente della repubblica turca che sta gradualmente passando al presidenzialismo dopo la vittoria del referendum costituzionale dello scorso aprile, sembra invincibile. Eppure lo appoggia solo poco più del 50% della popolazione, mentre la restante metà vaga alla ricerca di un’alternativa.
La necessità di un’opposizione valida è una costante non solo turca. Tendenze neo-nazionaliste accompagnano la crisi del bipolarismo come fattori estremamente diffusi in buona parte dell’Europa occidentale, a caccia di una terza parte che in Turchia si collocherebbe in una forza più o meno nuova fra l’AKP (Adalet ve Kalkınma Partisi – Partito per la Giustizia e lo Sviluppo) ed il Partito Popolare Repubblicano, CHP (Cumhuriyet Halk Partisi). Il consenso su quest’ultimo resta in calo nonostante il successo della recente “marcia per la giustizia” e l’ondata di arresti che ha coinvolto anche un parlamentare repubblicano, Enis Berberoğlu. È in questo contesto che si inserisce la figura di Meral Akşener, considerata l’unica vera spina nel fianco di Recep Tayyip Erdoğan.
Chi è Meral Akşener?
Meral Akşener non è un volto estraneo alla politica turca. Cresciuta in una famiglia originaria di Salonicco (città natale del padre della patria turca, Mustafa Kemal Ataturk), ha un dottorato in storia e la sua carriera sembrava essere destinata all’accademia, prima dell’ingresso in politica. Nel 1995, a solo un anno dal suo ufficiale “debutto”, Akşener diventa deputata in parlamento per la provincia di Istanbul per poi ricoprire la carica di ministro dell’Interno per un breve periodo di transizione fra il 1996 ed il 1997, anni difficili per il susseguirsi di governi in carica che videro l’ultimo colpo di stato riuscito della storia contemporanea turca.
A dieci anni di distanza, nel 2007, Meral Akşener viene rieletta in parlamento sempre a rappresentanza della provincia di Istanbul, ma come membro del Partito del Movimento Nazionalista, MHP (Milliyetçi Hareket Partisi). Appoggia, inoltre, il movimento dei cosiddetti “lupi grigi”, un’organizzazione paramilitare che condivide la base ideologica del partito. A seguito del disastroso risultato elettorale alle parlamentari del 2015, la leadership di Devlet Bahceli, a guida del MHP dal 1997, viene messa in discussione, specie da Akşener. Indebolito, Bahceli si avvicina ad Erdoğan e riesce ad espellere Meral Akşener che fuoriesce dal partito insieme ad altri esponenti del MHP, ora suoi collaboratori.
Akşener ha tenuto diverse manifestazioni a favore del “no” durante la campagna referendaria, dimostrazioni spesso ostacolate o addirittura vietate, come evidenzia l’Economist, secondo il quale Akşener avrebbe già assaggiato “l’amara medicina” che Erdoğan riserva ai suoi avversari, in riferimento a Selahattin Demirtaş, attualmente incarcerato con l’accusa di terrorismo, ma leader di un’altra potenziale alternativa, il Partito Democratico dei Popoli, HDP (Halkların Demokratik Partisi) che aveva visto le forze politiche curde superare la soglia di sbarramento entrando in parlamento alle elezioni politiche del 2015 per la prima volta nella storia. L’arresto di Demirtaş rientra nelle cosiddette “purghe” che Akşener condanna fermamente, portando fra i primi punti della sua agenda la protezione dei diritti umani ed il ripristino dei rapporti con i paesi europei. Il continuo richiamo all’ordine costituito lascia trasparire la tendenza di Akşener a parlare più alla testa che alla pancia del paese. Eppure, come può tutto questo non cozzare col suo retaggio nazionalista? Dove vuole o pensa di arrivare la ribattezzata “lady di ferro” turca?
Iyi parti, il partito “del bene”
Meral Akşener è una donna, va in moschea tutti i venerdì, ma non porta il velo. La sua personalità ha un’ascendente diverso da quello del leader repubblicano Kılıçdaroğlu. Akşener appare più caparbia, più efficace nella comunicazione.
Le principali “vittime” del fascino di Akşener fanno parte di un elettorato che condivide valori più di destra che di sinistra, così Akşener raccoglierebbe la fetta degli indecisi o addirittura potrebbe sottrarre voti non solo a MHP e CHP, ma anche all’AKP. Potrebbe quindi formare sotto la sua guida un potenziale “centro” che farebbe la differenza nelle elezioni del 2019.
Infatti, durante i suoi comizi, i supporter già acclamano Meral Akşener come nuovo primo ministro, ma lei aspira alla presidenza, a prendere il posto del “Sultano”, sebbene la candidatura non sia ancora ufficiale. La creazione di un nuovo partito, però, è avvenuta: l’Iyi parti, letteralmente “il buon partito” o “partito del bene”, ha emesso il suo primo vagito lo scorso 25 ottobre. Interessante notare chi lotta con lei: il quotidiano Ahval traccia un breve profilo di quello che definisce il “top team” dell’Iyi parti. Molti i fuoriusciti dal MHP: Koray Aydın ex segretario generale del partito nazionalista nonché vice portavoce in parlamento. Hayrettin Nuhoğlu, un altro “lupo grigio” parte del comitato centrale ed Ümit Özdağ vicepresidente del MHP dal 2015 al 2016 che ora per l’Iyi parti vice responsabile del settore per i media e la propaganda. Colpisce poi la presenza di Taylan Yıldız che non ha esperienze pregresse in politica, ma si è dottorato alla Stanford University e ha lavorato per Google per quasi dieci anni come esperto di marketing. Ora, infatti, si occupa della parte informativo-tecnologica del partito di Akşener.
Un’anteprima dell’eventuale sfida fra Meral Akşener e Recep Tayyip Erdoğan sarà fornita dai risultati delle elezioni municipali di marzo 2019, come ricorda Al Monitor, per cui Erdoğan resta forte nelle maggiori città (Ankara, Istanbul, Bursa) dove grazie a maestosi progetti infrastrutturali ha fornito servizi di prima necessità prima assenti, specie nelle periferie, e dato lavoro ad una vera e propria nuova classe media di ingegneri ed operai occupati capillarmente nell’edilizia. Tuttavia, una fascia fondamentale e generalmente trascurata sembra esclusa anche dall’interesse di Akşener o, per meglio dire, la sua posizione appare ancora poco chiara a riguardo.
Un fuoco di paglia? Le nebulosità non mancano
Sia stampa turca che estera concordano sulle sfere di influenza esercitate da Akşener, ma anche sull’assenza di opinioni in merito alla questione della minoranza curda e alla situazione dei circa tre milioni di rifugiati siriani presenti nel paese. A questi ultimi Erdoğan sembra pronto a dare la cittadinanza turca e dal 2013 al 2015, con il peggioramento del conflitto siriano, per l’appunto, Erdoğan ha negoziato con Abdullah Ocalan una storica seppur temporanea tregua col PKK, Partito dei lavoratori del Kurdistan. Sempre a discrezione dell’Economist, pare che in passato Akşener abbia dichiarato l’inesistenza di una questione curda in Turchia. La sua campagna elettorale dopo la fondazione del partito, tuttavia, è partita proprio da Bitlis, nell’Anatolia dell’est, a pochi chilometri dal lago di Van, una zona a forte densità curda. Tuttavia, per guadagnare la fiducia degli elettori HDP, Akşener dovrebbe rinnegare il suo passato da “lupa”, cosa improbabile, se non impossibile.
“Turkiye iyi olacak”, “andrà tutto bene in Turchia”, recita, rassicurante, lo slogan, riportato come hashtag in ogni post Twitter sul profilo di Akşener, spesso corredati di foto che la ritraggono stretta a donne e bambini. Sarà davvero così?
di Eleonora Masi
East Journal