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Interviste

Retroscena a proposito dell’attuale ondata di proteste nel Kurdistan del sud

Da quattro giorni sono in corso proteste di massa contro il governo nel Kurdistan del sud. Durante un’azione di protesta a Ranya il 19 dicembre durante un attacco delle forze Asayish sarebbero rimasti uccisi diversi manifestanti. Abbiamo parlato con Nilüfer Koç, co-Presidente del Congresso Nazionale del Kurdistan (KNK) dei retroscena dell’ondata di proteste nel Kurdistan del sud.

Qual è la situazione attuale nel Kurdistan del sud? Perché proprio ora ci sono proteste?

Sarebbe troppo semplice affrontare le proteste pubbliche della popolazione del Kurdistan del sud separatamente dagli eventi complessivi in Medio Oriente. Come nel Rojava e nel Kurdistan del nord i conflitti dei rapporti di forza regionali e globali si esprimono in modo molto locale. Gli eventi nel Kurdistan del sud sono per la maggior parte collegati con gli sviluppi e i cambiamenti in Rojava-Siria del nord. Con la vittoria storica delle FSD su Stato Islamico (IS) a Raqqa, oltre ai curdi, anche le forze internazionali hanno dichiarato questa fase una fase per la soluzione politica. Forze come la Turchia e l’Iran, finora nella guerra in Siria hanno approfittato di diversi gruppi, tra i quali IS, e in questo modo hanno prolungato la propria esistenza, qui hanno perso un campo di battaglia importante. La vittoria a Raqqa è stata la loro sconfitta. Per questo dal calcolo politico sbagliato fatto da chi detiene il potere nel Kurdistan del sud con il referendum hanno conquistato un nuovo terreno per la guerra. Lì infatti si è creato un vuoto politico che dura fino ad oggi. La leadership curda non può più tenere la guida, la popolazione non vuole più essere guidata da loro.

Il 16 ottobre la leadership politica non è stata in grado di difendere il Kurdistan del sud dall’occupazione irakena. Proprio come nell’agosto 2014, peshmerga a Şengal, Maxmur e Kirkuk sono fuggiti di fronte all’esercito irakeno e alle unità paramilitari di Hashd-al-Shabi. Qui abbiamo perso circa il 46 percento del territorio del Kurdistan del sud in favore dell’Iraq. Complessivamente dopo il referendum i curdi hanno perso tutte le conquiste degli ultimi 27 anni. Tutti i valichi di confine, il traffico aereo, l’economia e il commercio di petrolio ora sono sottoposti a Bagdad. Invece dello status federale in essere fino ad ora, il Kurdistan del sud ora è di nuovo soggetto al dominio irakeno. Bagdad si rifiuta perfino di riconoscere ai curdi i diritti garantiti dalla Costituzione. Inoltre la situazione della sicurezza è peggiorata in modo drastico.

Dopo il referendum, accanto alla Turchia, anche l’Iran ha promosso la creazione di gruppi paramilitari. Questi contro i curdi procedono sempre in modo molto brutale. E questo soprattutto nei cosiddetti territori contesi come Xurmatu, Kirkuk, Celewla, Xaneqîn, Maxmur ecc. Attualmente il Kurdistan del sud è pieno di questi gruppi. Vita e averi della popolazione sono in grande pericolo. Le persone chiedono sicurezza e protezione.

In molte zone i curdi sono stati scacciati da gruppi paramilitari filo-turchi e fio-iraniani. Molti curdi per questo sono fuggiti in città come Sulaimaniyya. I manifestanti accusano la leadership politica di non essere in grado di difendere e guidare il proprio Paese. Per questo chiedono le dimissioni del governo che comunque non è in grado di funzionare. Rispetto a proteste precedenti, quelle attuali non sono solo contro un partito politico, ma contro tutte le istituzioni politiche che esistono da 27 anni. Chiedono uno stile di direzione diverso e non vogliono vedere le personalità politiche viste fino ad ora.

Quali forze e dinamiche ci sono dietro le proteste?

I responsabili politici dopo la loro sconfitta politica risultata dal referendum non ne hanno risposto politicamente davanti alla popolazione. Manca autocritica o quanto meno delle scuse nei confronti della società. Il referendum ha portato a una sconfitta incredibile. Tutte le conquiste, il profilo politico del Kurdistan, l’immagine positiva dei curdi nella lotta contro IS sono stati messi in gioco. Il Kurdistan del sud ha perso lo status federale che assomigliava quasi a uno Stato e ora è di nuovo entrato in una condizione di dipendenza da Iraq, Iran e Turchia. Questa condizione e l’ostinazione dei responsabili di rimanere al potere, hanno portato il vaso a traboccare. La labile economia del Kurdistan del sud è peggiorata ulteriormente. Bagdad usa la situazione economica miserabile come un’arma contro i curdi. La gente protesta contro tutto questo e non vuole più l’attuale leadership. Chiedono elezioni libere e democratiche. Chiedono conto ai responsabili.

Qual è il futuro del KDP e degli altri attori politici nel Kurdistan del sud?

Le proteste non si sono rivolte solo contro il KDP, ma contro tutti i partiti di governo. Si tratta della messa in discussione della leadership politica degli ultimi 27 anni. Il Kurdistan del sud è alle soglie di una nuova cultura politica. Questo significa democrazia, trasparenza, uffici funzionanti, partecipazione politica di tutti i cittadini, stampa libera e più diritti per le donne. Il modello di leadership in essere fino ad ora non può più esistere. Serve un Parlamento davvero democratico o un consiglio nazionale in posizione più alta. Molti di questi partiti hanno agito secondo interessi di politica di partito contro ogni interesse nazionale. Hanno fatto alleanze con la Turchia o con l’Iran o con altre forze regionali o internazionali che oggi agiscono insieme contro i curdi. Questo potere dei partiti politici deve essere ridotto per legge e minimizzato. Il loro dominio ha reso il Parlamento una sede decisionale secondaria. Questo carattere patriarcale feudale deve essere modernizzato dalla partecipazione libera e attiva delle donne. Se questi partiti non faranno riforme radicali diventeranno il bersaglio della rabbia sociale.

Quali sono le posizioni del Congresso Nazionale del Kurdistan (KNK) rispetto alle prospettive politiche per il Kurdistan del sud?

Per il KNK il Kurdistan del sud con lo status federale dal 2003 era una conquista nazionale. Poi è si è aggiunto il Rojava con la costruzione dell’autonomia democratica. Come KNK ora vediamo un’opportunità per una nuova strutturazione, ossia per una democratizzazione del Kurdistan del sud. È necessario un congresso nazionale. Soprattutto per il Kurdistan del sud. Il KNK ha molta fiducia e rispetto per il Kurdistan del sud. Alcuni giorni fa le nostre diverse associazioni e singole personalità hanno deciso di convocare nel gennaio 2018 una conferenza nazionale di consultazione. La prima la abbiamo già fatta con successo nel settembre del 2016. Come KNK siamo fermamente convinti che noi curdi dobbiamo risolvere da noi i nostri problemi. Abbiamo sia la forza sia il sapere necessari. Dobbiamo convincere la leadership del Kurdistan del sud a considerare il Kurdistan come una cosa sola nel suo complesso. Tutte le quattro parti insieme. Il fiasco del referendum ora lo ha fatto avverare ancora una volta. Una parte da sola in una regione multipolare come il Medio Oriente non può reggere. Per questo è il momento giusto per gettare le fondamenta di un congresso nazionale. Solo così potremo raggiungere soluzioni politiche e pacifiche.

 

Nilüfer Koç, co-Presidente del Congresso Nazionale del Kurdistan (KNK) intervistata da Civaka Azad

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