La CEDU ha respinto l’appello relativo al potenziale impatto della costruzione della diga di Ilısu sul sito archeologico di Hasankeyf. Nella sua decisione finale su un appello relativo al potenziale impatto della diga di Ilısu sul sito archeologico di Hasankeyf, la Corte Europea dei Diritti Umani a maggioranza ha dichiarato inammissibile la richiesta.
In questo caso, cinque richiedenti lamentavano che la prevista costruzione della diga di Ilısu minaccia il sito archeologico di Hasankeyf, un luogo di interesse archeologico e culturale, vecchio di oltre 12.000 anni. La Corte ha considerato la domanda incompatibile con quanto previsto nella Convenzione (Articolo 35 §§ 3 (a) e 4). Ha notato che ad oggi non c’è un consenso europeo o anche una tendenza tra gli Stati Membri del Consiglio d’Europa che avrebbe reso possibile dedurre dalle disposizioni della Convenzione che esista un diritto universale individuale alla protezione di una parte o di un’altra del patrimonio culturale, come richiesto nella domanda in questione.
I richiedenti sono cinque cittadini turchi (due professori, un architetto-archaeologo, un giornalista e un avvocato) che sono stati parte di vari progetti sul sito archeologico di Hasankeyf a Batman (Turchia). Sono nati tra il 1934 e il 1963 e vivono in Turchia. Uno di loro è morto nel 2014 e sua moglie ha deciso di continuare il ricorso.
Nel 1954 l’Ente Nazionale per l’Acqua ha iniziato il lavoro esplorativo sul progetto Ilısu, concentrato sulla creazione di una diga e di una centrale idroelettrica sul fiume Tigri. I piani minacciavano il sito archeologico di Hasankeyf che è stato classificato ufficialmente come sito archeologico di prima categoria 1978.
Nel 1982 il governo ha identificato le aree chiave per un programma maggiore di investimenti mirato a sviluppare l’intera regione del sudest dell’Anatolia (Güneydoǧu Anadolu Projesi), che, tra gli altri progetti, includeva la costruzione della proposta diga di Ilısu.
Nel 1991 è stato accantonato un budget per identificare, trasferire, ri-ereggere e preservare i monumenti nel sito di Hasankeyf che erano visibili, o ancora sepolti nel terreno. Nel 1998 è iniziato il lavoro di scavo archeologico e sono state fatte le prime scoperte in 289 siti. Si stima che l’80% del sito di Hasankeyf debba essere protetto dall’allagamento. È stato previsto che i monumenti che dovevano essere sommersi dalle acque della diga, siano smantellati e trasferiti per il successivo riassemblaggio in un parco nazionale della cultura.
Nel 1999 il sig. Cano (un avvocato e uno dei richiedenti) ha fermato una precedente richiesta all’ufficio del Primo Ministro di accantonare il progetto. In seguito al tacito accantonamento della richiesta, ha fatto ricorso al tribunale amministrativo perché la decisione fosse sospesa.
Nel 2005, una volta che sono stati identificati lotti di terreno a Hasankeyf che dovevano essere destinati all’esproprio, è stata pubblicata una dichiarazione di pubblico interesse. L’anno successivo, è stato emanato e applicato un decreto di esproprio accelerato. La costruzione della diga attualmente è completata al 90%. Allo stesso tempo il lavoro di trasferimento delle moschee Eyyubi, El Rızk e Süleyman Koç è in corso.
Nel 2012 un tribunale amministrativo ha rigettato l’azione del sig. Cano e il Consiglio di Stato ha rigettato il suo appello per motivi di legge. Ha depositato una richiesta di rettifica di quella decisione, ma la Corte non è stata informata del risultato di questi procedimenti.
Il ricorso è stato depositato presso la Corte Europea dei Diritti Umani il 3 marzo 2006.
Basandosi essenzialmente sull’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata) e sull’articolo 2 del Protocollo n. 1 (diritto all’istruzione), i ricorrenti lamentavano che la prevista costruzione della diga avrebbe distrutto il sito archeologico di Hasankeyf, cosa che secondo loro sarebbe stata equivalente ad una violazione del diritto dell’umanità all’istruzione, ora e per le future generazioni. Hanno anche affermato che il piano di spostare determinati monumenti dal sito sarebbe stato impossibile da realizzare e che molti resti archeologici non si prestavano a un simile trattamento. Di conseguenza hanno chiesto alla Corte di indicare al governo misure preventive prima che il sito di Hasankeyf sia allagato, o i monumenti indebitamente spostati. Infine, i richiedenti lamentavano gli effetti disastrosi del progetto sull’ambiente, e più specificatamente l’impatto irreversibile che la distruzione del sito e la costruzione della diga avrebbero avuto sull’ecologia e il paesaggio della regione.
La Corte ha ribadito che le previsioni della Convenzione non possono essere interpretate e applicate in un vuoto.
La Corte ha notato che si può ritenere che il graduale aumento della consapevolezza dei valori legati alla conservazione del patrimonio culturale e dell’accesso ad esso, abbia creato un certo quadro legale e che il caso in questione di conseguenza si può considerare ricadente un’area tematica in evoluzione. In questo contesto e in vista degli strumenti internazionali rilevanti e della base comune nelle norme della legislazione internazionale, anche se questi non erano vincolanti, la Corte era pronta a considerare che esiste una percezione europea ed internazionale condivisa della necessità di proteggere il patrimonio culturale. Tuttavia, la protezione in genere si concentra su situazioni e regolamenti che attengono al diritto delle minoranze di godere liberamente della propria cultura e ai diritti delle popolazioni indigene di controllare e proteggere il loro patrimonio culturale.
Di contro, non ha recepito, ad oggi, alcun consenso europeo o anche tendenza tra gli Stati Membri del Consiglio d’Europa, che potrebbe aver richiesto di mettere a rischio l’ambito dei diritti in questione o che avrebbe reso possibile dedurre dalla previsioni della Convenzione che esista un diritto universale individuale di una o di un’altra parte del patrimonio culturale, come richiesto nel caso di specie.
La Corte ha quindi dichiarato inammissibile la richiesta, trovandola incompatibile con le previsioni della Convenzione (articolo 35 §§ 3 (a) e 4).
ANF