La storia va raccontata, ricordata, specialmente quando si commettono crudeltà e ingiustizie. Ogni luogo nel mondo, purtroppo, ha qualcosa da dover rievocare affinché non succeda di nuovo.
di Di Mirca Garuti – Alkemia News
A Suleymaniyah, per esempio, in un bella zona, si trova l’ex quartiere generale della divisione settentrionale del Mukhabarat (servizi segreti) di Saddam Hussein. Un edificio o meglio l’Amna Suraka o “Prigione Rossa”, dove venivano interrogati, torturati ed uccisi dissidenti, studenti e curdi iracheni.
I primi prigionieri politici entrarono in carcere nel 1986 e, tra aprile e settembre 1988, lo stato iracheno, avviò la campagna Al-Anfal “Bottino di guerra” (nome dell’ottava sura del Corano) contro i curdi iracheni, utilizzando bombardamenti, deportazioni di massa, offensive al suolo, distruzione di insediamenti, guerra chimica, tortura e carcere, nel tentativo di distruggerli in modo definitivo. Gli attacchi di gas chimici, sotto la direzione di Saddam Hussein, furono opera di Ali Hassan al-Majid. Chiamato “Ali il chimico”, nel 2010 fu processato per crimini di guerra contro l’umanità, genocidio e giustiziato.
Nel 1991, mentre Saddam era impegnato nella Guerra del Golfo, l’esercito curdo raggiunse ed occupò Suleymaniyah. Il 9 marzo 1991, grazie all’intervento dei Peshmerga, dopo una settimana di combattimenti, i curdi riuscirono ad entrare nella prigione ed uccisero gli ultimi 800 soldati iracheni rifugiati all’interno. La prigione fu così liberata.
Oggi la prigione di Amna Suraka è un museo nazionale dei crimini di guerra. L’edificio è stato lasciato praticamente come al momento della sua liberazione. La struttura esterna porta così i segni della guerra che ricordano quanti persero la vita all’interno di quelle mura.
Il complesso è costituito da tre edifici principali. Il primo era utilizzato per l’amministrazione, oggi è un museo della cultura curda. Il secondo era la prigione e il terzo il luogo delle torture. Nel cortile sostano inermi i carri armati e l’artiglieria dell’esercito iracheno. L’edificio centrale, dove una volta era la sede e la mensa dei membri del partito Ba’ath, si apre con la Sala degli Specchi (Hall of Mirrors). Questo spazio, un corridoio ad L, è formato da 182.000 frammenti di specchi che rappresentano il numero delle persone uccise durante l’operazione Al-Anfal ed è interamente coperto da 4.500 lampadine, una per ogni villaggio distrutto. Lasciata la sala degli specchi ci si addentra in stretti corridoi dove sono collocate le celle della prigione. Dalla luce passiamo al buio, l’atmosfera è cambiata, un silenzio cupo ci porta indietro nel tempo, là dove l’uomo ha smesso di essere tale. Attraversiamo celle multiple che assomigliano di più a gabbie per animali con i pavimenti pieni di coperte sporche e servizi igenici fatiscenti. Altre piccole celle portano ancora sulle pareti alcune immagini e parole in arabo o curdo, lasciate da alcuni prigionieri come testimonianza della propria storia. Della propria sofferenza.
Un’artista locale ha creato cinque statue a grandezza naturale che riproducono la vita dei prigionieri: sagome umane ammanettate a tubi di scarico lungo le pareti, picchiate con bastoni sulle piante dei piedi; altre appese con un gancio al soffitto, le mani legate ad elettrodi collegati alla testa e pesi da 20/30 chili attaccati all’inguine. Presenti anche figure di donne con bambini.
Lasciate le camere di tortura si arriva all’esterno nel cortile tra carri armati, camion e varia artiglieria, dove sul fondo su un muro piastrellato di nero appare un monumento con diverse figure bianche strette fra di loro su un cumulo di sporcizia. Si tratta di un’opera dedicata agli studenti condotti alla parete e giustiziati nel periodo dal 1979, anno di apertura di Amna Suraka.
Come ultima tappa è d’obbligo rendere omaggio al ricordo delle migliaia di caduti durante la guerra di Saddam Hussein contro i curdi. Per questo è stata installata una mostra permanente, l’Al-Anfal Memorial, che prende il nome da un capitolo del Corano in cui si commemora una battaglia del sesto secolo tra musulmani e curdi.
Il Movimento per la società libera del Kurdistan (Tevgera Azadì)
E’ un movimento costituito il 17 ottobre 2014 senza nessuna distinzione di religione, etnia e colore. L’intento era quello di cambiare il vecchio sistema che ha causato il crollo di tutti i valori civili per costruire un nuovo modello alternativo democratico. In realtà sulla scena politica sono attivi dal 1992 con sigle diverse. Per accedere alle elezioni parlamentari del 12 maggio 2018 si sono uniti al Movimento New Generation riuscendo ad ottenere un seggio. Molti attivisti di questo movimento sono stati uccisi o sono in carcere per la loro politica di opposizione ai partiti di governo. Sono molto attenti ai diritti delle donne e denunciano il fatto che il governo regionale su questo tema non attua nessun cambiamento rispetto al passato. Per esempio, su 17 ministri uno solo è donna.
Le donne sono presenti nei partiti o movimenti solo fisicamente ma non hanno la possibilità di incidere nelle decisioni. Il loro partito invece ha il maggior numero di donne in ruoli amministrativi.
Il Tevgera Azadi non opera come un classico partito. Alla base di tutto c’è la formazione, lo studio. Tutto parte dal basso, dalle richieste del popolo e dalle sue necessità. Sono contrari alle tessere di partito perché il numero degli iscritti serve solo a ricevere finanziamenti dallo Stato. In ogni quartiere delle città dove operano ci sono sette/otto operatori disponibili per i bisogni dei cittadini. A differenza di tutte le altre organizzazioni, la loro idea di società non è solo a livello regionale ma vuole essere anche internazionale.
In merito al Referendum sull’indipendenza del Kurdistan iracheno del 25 settembre 2017 sostenuto da alcuni dei partiti curdi locali e dal presidente Masoud Barzani, il Tevgera Azadi, dal momento che non è un partito nazionalista, si è subito dichiarato contrario ed ha cercato di boicottare tale iniziativa.
20/01/2018 Suleymaniya – Primo congresso di Tevgera Azadì
Dopo anni di lavoro il Tevgera Azadì si è presentato in modo ufficiale. Centinaia di cittadini di varie zone dell’Iraq, del Kurdistan meridionale e 700 delegati hanno partecipato a questo suo primo congresso. Un congresso che ha visto una grande presenza di donne e giovani. Va sottolineato però che non si tratta solo di una presenza fisica, ma di un vero coinvolgimento dentro i meccanismi amministrativi e decisionali. Per queste donne e giovani impegnati nell’affrontare grandi problemi nel Kurdistan meridionale, questo partito rappresenta un’alternativa, una speranza per la ricerca di una vera soluzione. Il merito di tutto ciò è dovuto al programma di Tevgera Azadì, diverso da quello proposto dai partiti di governo degli ultimi vent’anni.
Stop a Tevgera Azadi
Tutto cambia il 28 novembre 2018 quando il Governo regionale del Kurdistan del sud ordina la chiusura degli uffici del partito Tevgera Azadì. Chiusi gli uffici a Koye, Kelar, Raperin, Kifri, Ranya,Keladiz e Suleymaniya. Le forze del PUK (Unione Patriottica del Kurdistan) a guida del clan Talabani, ha dato a Tevgera Azadi di Suleymaniya 24 ore di tempo per evacuare gli edifici. A tempo scaduto, le forze di sicurezza locali (Asayish) hanno abbassato la bandiera del partito, tolto le varie segnaletiche e chiuso le porte dell’ufficio. Motivazione: il Tevgera Azadi è un partito illegale sprovvisto del permesso operativo dal Ministero degli Interni.
La circolare, firmata dal vice primo ministro Kubad Talabani, dichiara di aver deciso di interrompere le attività di tutti i partiti politici non autorizzati dal Ministero degli Affari interni del KRG (Governo regionale del Kurdistan iracheno) e di chiudere i loro edifici. Tevgera Azadì non accetta questa imposizione perché si definiscono un partito in regola che ha seguito tutte le procedure legali richieste, partecipando anche alle elezioni parlamentari del 12 maggio scorso. E’ evidente che si tratta di una chiusura politica. La Turchia, per questo, ha esercitato una forte pressione sul PUK offrendo loro varie opportunità. Per dividerli dalle unità curde, ha offerto per esempio, l’apertura di un aeroporto a Suleymaniya, incentivi finanziari e la creazione di un ufficio di rappresentanza ad Ankara. Lo stato turco è stato, infatti, il primo a celebrare questa notizia, dichiarando il Tevgera Azadi “terrorista”.
Il ruolo della Turchia e la dichiarazione di Tevgera Azadì
L’affermazione del console turco mostra che la decisione della chiusura degli uffici serve solo alle forze d’occupazione in Kurdistan e che questa decisione è illegale.
“La Turchia vuole agire come governatrice del Kurdistan e e dominare la regione. Per questo tutti dovrebbero prendere posizione e non accettarlo. Dobbiamo chiedere all’Iraq e al governo regionale curdo, se un rappresentante turco considera suo diritto andare oltre i suoi limiti fino a questo punto, dove sta allora il potere in Iraq e nella regione Kurdistan? A questo sconfinamento da parte della Turchia bisogna reagire e anche se il governo regionale lo accetta per il proprio vantaggio, la popolazione non lo deve tollerare”.
Ora più che mai il popolo curdo ha bisogno di unità e democrazia. E’ quindi inaccettabile che un movimento che ha rilevanza tra i curdi si rivolge contro un’altra organizzazione curda in modo antidemocratico chiudendo i suoi uffici. Chiedere quindi al Puk di rivedere la sua decisione è un atto doveroso. Sarà un vantaggio per tutto il popolo curdo.
Le altre parti del reportage si possono leggere qui:
Parte 1: Il Campo Profughi di Makhmour – Kurdistan Bashur:
http://www.uikionlus.com/il-campo-profughi-di-makhmour-kurdistan-bashur/
Parte 2: Le donne del Kurdistan Bashur
http://www.uikionlus.com/le-donne-del-kurdistan-bashur/
Parte 3: Le milizie kurde e il controllo del territorio
http://www.uikionlus.com/le-milizie-kurde-e-il-controllo-del-territorio/
Parte 5: Siria e Rojava
http://alkemianews.it/index.php/2019/06/13/kurdistan-bashur-siria-e-rojava/
Parte 6: Qandil
http://alkemianews.it/index.php/2019/06/15/kurdistan-bashur-qandil/