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Interviste

Come si è arrivati alle sentenze a favore del PKK e come funziona la lista delle »organizzazioni terroristiche«?

Il difensore nel processo PKK a Bruxelles, Jan Fermon, spiega come si è arrivati alle sentenze a favore del PKK negli ultimi tre anni, su quali principi si basano, il loro significato e i possibili effetti.
Maxime Azadî, Bruxelles/ANF

Kurdistan Report 203 | maggio/giugno 2019

Negli ultimi tre anni la giustizia belga ha emesso tre sentenze a favore del PKK. Qual è lo stato attuale del processo?

Il processo continua perché il pubblico ministero è ricorso in appello per la seconda volta. Noi torneremo in tribunale e aspetteremo la sentenza della corte suprema. Durante le indagini in Belgio sono state fatte numerose inchieste su organizzazioni curde. Il pubblico ministero ritiene che siano tutte collegate con il PKK. Tra loro ci sono due imprese del settore dei media appartenenti a curdi iraniani e siriani. Sono indagini condotte su ampia scala, che durano da anni. In questo quadro si è cercato di mettere in qualche modo in collegamento tutte queste organizzazioni con il PKK. Contemporaneamente un’organizzazione che secondo il diritto internazionale è parte attiva di una lotta armata, che sia in una guerra civile interna o in un conflitto internazionale, secondo il diritto europeo e quindi anche secondo il diritto belga, non viene considerata organizzazione terroristica. Ma se un’organizzazione conduce una guerra in Siria e fa attacchi anche qui, può essere considerata organizzazione terroristica. Questo non vale per il PKK. Non esegue azioni violente su territorio europeo. Se un curdo in Europa è stato parte di un’azione a livello individuale, questo non significa che ha partecipato l’organizzazione. Per questo vogliamo che il PKK venga considerato nel quadro di questa norma.

Potrebbe spiegare meglio l’articolo in questione?

Tutti gli imputati sono stati accusati di partecipazione ad azioni di un’organizzazione terroristica o come responsabili di un’organizzazione terroristica. Per questo si è reso necessario chiarire in primo luogo nell’ambito del diritto belga, e in secondo luogo richiamando anche il diritto europeo, di che tipo di organizzazione i ratti nel caso del PKK. Abbiamo spiegato fin dall’inizio che eventi violenti qui non hanno avuto luogo, ma che va considerata invece la natura degli eventi in Turchia. Perché le persone qui sono accusate di fare propaganda, raccogliere denari, cercare il favore di persone per l’organizzazione o di organizzare eventi. Ma se si tratta di reclutare persone per la lotta armata, di fare propaganda per questa o di raccogliere denari, questo non ricade nel divieto. Se si tratta di una lotta armata o di una guerra civile, allora va applicata la legislazione di guerra e non una legge antiterrorismo.

Come ha reagito la pubblica accusa al vostro modo di procedere?

Inizialmente il pubblico ministero ha liquidato questi punti come »ridicoli« e »tempo perso«. Dopo la conclusione delle indagini, siamo andati davanti alla camera di consiglio [Ratskammer, dipartimento della giustizia belga che decide sull’apertura di un processo e fa parte della corte penale]. Abbiamo spiegato al giudice la situazione e ci ha dato ragione sul fatto che ci sono diverse indicazioni di una lotta armata e di una guerra civile e che con questo non trova applicazione la legge anti-terrorismo. La pubblica accusa ha fatto obiezione e ha presentato i suoi argomenti alla corte d’appello. Quella ci ha dato ragione e ha riconosciuto gli avvenimenti in Turchia come lotta armata e guerra civile.

Secondo quali criteri vengono considerati lotta armata o guerra civile?

Ci sono due criteri secondo i quali la lotta armata, o rispettivamente una guerra civile, vengono distinti da uno scontro isolato. La frequenza degli scontri (numero, tipo di armi, ecc.) è la prima caratteristica. Poi si guarda al livello dell’organizzazione e alla sua costruzione per poter chiarire la misura dell’organizzazione della parte avversa. Nella nostra difesa abbiamo spiegato che nonostante una lotta asimmetrica per via della tattica di guerriglia, si tratta di un conflitto con grandi effetti e di una guerra in corso da molto tempo. Non è una guerra classica, ma è una guerra. Inoltre abbiamo presentato tutte le informazioni e prove possibili che attestano che le Forze di Difesa del Popolo (HPG) sono un esercito con una buona organizzazione, gerarchia e disciplina.

Il giudice in corte d’appello ha deciso che si tratta di una lotta armata e che le HPG vanno considerate una parte di questa guerra. La conseguenza è stata che in Belgio per persone che sostengono il PKK o le HPG nella loro lotta, non va applicata la legge anti-terrorismo.

Come si è sviluppato poi il processo?

Inizialmente la 2a camera della corte d’appello di Bruxelles ha fermato il procedimento di indagine.

La pubblica accusa ha presentato ricorso in cassazione. La decisione è stata revocata per un errore tecnico e il fascicolo è tornato alla corte d’appello. Il tribunale ha deciso che si tratta di una lotta armata, che le HPG sono una parte in questa lotta e che il sostegno alle HPG non rappresenta partecipazione ad azioni terroristiche dato che le HPG non sono un’organizzazione terroristica.

La pubblica accusa si è rivolta nuovamente alla corte di cassazione. Non abbiamo ancora ricevuto le motivazioni. Nel corso delle prossime settimane questo però dovrebbe avvenire. È stato chiesto di revocare la decisione e di rinviare il procedimento di nuovo alla corte d’appello. Quindi può succedere che dovremo andare davanti a questa corte d’appello per la terza volta.

Ma tutto questo non ha fine?

In linea di principio no. La pubblica accusa può continuare a presentare ricorso con le stesse motivazioni. Ma se la corte di cassazione approva la decisione, allora può avere fine. Poi la decisione ha valore di legge.

Nello stesso quadro giuridico viene condotto un altro processo. Potrebbe riassumere brevemente questo processo contro contro Faysal Çolak?

Si, esatto, un altro processo, ma lo stesso tipo di problema. Ci sono state indagini per appartenenza a un’organizzazione terroristica. Anche se il giudice ha considerato provato che la persona interessata ha fatto pervenire al PKK il materiale (inviato in Kurdistan del sud), si pone la stessa domanda: il PKK è un’organizzazione terroristica?

Quali conseguenze hanno questi due processi? Potrebbero avere influenza su procedimenti simili davanti ad altre corti?

Una domanda molto importante. Ogni volta che un procedimento finisce davanti a un giudice belga, il problema può essere considerato in modo diverso. A questo riguardo non c’è un automatismo. Ma l’ultima decisione è molto motivante. Possiamo ovunque fare riferimento al fatto che la corte di Bruxelles ha esaminato il problema approfonditamente e che la corte di cassazione lo ha riconosciuto, e chiedere decisioni simili. Ma non è un processo automatico. Un altro giudice può prendere una decisione diversa. Ma la sentenza della corte di cassazione prevale. Se la sentenza viene confermata, allora le accuse contro persone nell’ambiente del PKK che non hanno commesso altri fatti, dovrebbero avere fine. Per esempio raccogliere denaro: se questo avviene su base volontaria o viene solo organizzata un’azione, questo non sarà un problema, ma se persone vengono spinte a dare contributi con la violenza, durante un’azione viene usata violenza contro la polizia, questo è considerato reato. Per la pubblica accusa diventa difficile avviare procedimenti per attività normali.

Il problema in altri Paesi viene trattato in modo differenziato. È una situazione caotica. Qui i tribunali hanno deciso sulla base della legge belga. Il legislatore ha integrato le leggi belghe con un articolo che vale nel diritto internazionale. Altri Paesi non lo hanno fatto.

Quando è successo?

Nel 2003 a livello europeo tutti i Paesi dovevano avere una legge anti-terrorismo che doveva rispondere a determinati requisiti. Ogni Paese ha introdotto una sua legge. La legislazione di guerra e le leggi nella lotta al terrorismo sono presenti in molti trattati internazionali e nel diritto europeo. In una lotta armata non si può indagare in un’ottica di terrorismo.

Allora questo significa che va avviato in modo diverso

Se è stato deciso che si tratta di una lotta armata o che va considerato in questo senso, allora le leggi anti-terrorismo non sono più adottabili. Questo vale in tutti i trattati internazionali e nel diritto europeo. Ma solo il Belgio ha inserito questo articolo nella sua legislazione.

Quale percorso dovrebbero prendere in conformità gli altri Paesi?

Cosa possono fare altri Stati? Seguiranno solo le leggi nazionali o rispetteranno il diritto internazionale? Alcuni dicono che le convenzioni internazionali non li interessano. Io personalmente lo trovo meritevole di discussione. Cogliere queste possibilità risultate dalla giustizia belga, spetta agli avvocati rispettivamente attivi sul posto in Europa. Possono presentare la sentenza ai giudici e argomentare: »Guardate le motivazioni dei giudici belgi, coincidono sia con il diritto belga e europeo sia con gli accordi sul terrorismo.« Anche se nel diritto tedesco non c’è un articolo simile a quello presente in quello belga, può comunque essere richiesto di sottomettersi alle leggi internazionali. Tuttavia è difficilmente prevedibile cosa ne può risultare. Dipende da come i giudici in Danimarca, in Olanda, Germania, Francia o Italia interpretano il rapporto tra le proprie leggi e quelle internazionali.

La Corte Europea l’anno scorso ha deciso sull’inserimento del PKK nella »liste delle organizzazioni terroristiche« dell’UE. In che rapporto sono i due procedimenti?

Questo è un problema molto tecnico e molto complicato. La decisione lussemburghese riguarda solo misure come il congelamento di proprietà, compreso il denaro, e divieti di viaggiare. In realtà non si tratta di denaro. Qui non si tratta di diritto penale. È un altro ambito. Nonostante questo ha effetti psicologici e si è fatta notare. Il tribunale belga ha esposto al Consiglio Europeo: voi avete messo il PKK sulla lista delle organizzazioni terroristiche, ma non avevate motivi soddisfacenti per farlo. D’altronde l’inserimento del PKK in questa lista non ne motiva automaticamente l’osservazione. Al contrario significa che il suo inserimento nella lista non richiede un’applicazione automatica delle leggi nazionali anti-terrorismo. Perché questi due punti sono differenti. Da un lato la parte amministrativa delle misure, dall’altra il diritto penale. Sono due ambiti completamente diversi. Con la lista europea possono essere congelate proprietà, con il diritto penale si può mandare in carcere.

Come funziona il meccanismo della lista europea delle organizzazioni terroristiche?

Il meccanismo della lista europea significa essere inseriti nella lista, e ogni sei mesi – possono diventare anche uno o due anni – il Consiglio d’Europa (Consiglio dei Ministri dell’UE) deve fare una nuova valutazione sulla lista. Ma perché bisogna fare una nuova valutazione? Perché nessuno venga dimenticato sulla lista. Negli USA questo principio non c’è. Nelson Mandela era sulla lista del terrorismo perfino dopo la sua morte, perché negli USA la lista non viene rivista. Nell’Unione Europea in linea di principio viene rinnovata. La cosa anormale in questo è: se perviene una richiesta alla corte del Lussemburgo, al rinnovamento della lista deve essere estesa. Quindi al tribunale ogni volta viene richiesto di analizzare la lista esistente. A volte le ragioni per l’inserimento nella lista cambiano, ma per portarlo avanti non ci sono problemi. In questo modo il tribunale non deve includere solo la prima sentenza, ma tutte.

Perché la sentenza della Corte Europea riguarda solo gli anni dal 2014 al 2017?

A un certo punto del procedimento viene prestata una difesa orale, ognuno presenta la sua idea. Da quel punto in poi il tribunale chiude il fascicolo. Non può più essere aggiunto o cancellato niente. Ora deve essere solo emessa la sentenza. Le discussioni sono finite. Se successivamente viene presa una nuova decisione sulla lista, non può più essere integrata nel fascicolo. Nel processo PKK è successo esattamente questo. Per quanto ne so, il Consiglio d’Europa ha presentato gli stessi argomenti per inserire il PKK di nuovo nella lista. Dato che si tratta degli stessi argomenti, presumo che il tribunale annullerà questa lista. Quindi non può andare diversamente. Si tratta di un problema puramente tecnico e non del contenuto. Si tratta di mettere fine alle discussioni in tribunale e di rinnovare la lista dopo la sentenza. L’Unione Europea lo fa sempre. Anche per altri fascicoli. Per questo bisogna iniziare da capo.

Perché secondo Lei si susseguono le sentenze positive per il PKK? Dipende dall’entità delle richieste o dalla loro serietà o c’è un orientamento politico, perché la lista stessa in effetti viene considerata politica?

Sarebbe presuntuoso affermare che le richieste non sono state presentate in modo sufficientemente serio. Non possiamo affermare: »Contrariamente ad altri abbiamo presentato una richiesta seria.« Io ho visto che in molte sentenze il problema non è stato affrontato. Questo è giusto. Ma aggiungere un articolo da convenzioni internazionali nella legislazione nazionale ci ha portato vantaggi. Tuttavia penso che tutto fosse necessario a livello complessivo. Da un lato abbiamo lavorato molto intensamente e siamo entrati in profondità nel problema, dall’altro ci sono eventi in Turchia e in Siria, e il ruolo del PKK in questo ha aperto loro gli occhi. Anche i giudici sono esseri umani. Tutte queste informazioni hanno agevolato il loro lavoro. Certamente oggi è più semplice di prima. Il clima politico, ascoltare fatti rilevanti rispetto al processo, oggi c’è maggiore apertura.

Quindi si può riassumere: oggi ci sono più possibilità per i curdi di potersi esprimere e di ottenere ascolto in ambito giuridico?

Sia l’una che l’altra cosa. Tutte le fattispecie che riguardano il processo vengono dalla Turchia. Indubbiamente prima non avevamo le stesse possibilità, ma io penso che anche il clima (politico) corrisponda. Perché per quanto il materiale possa provenire dalla Turchia, i giudici sono molto più attenti agli argomenti. Rispetto agli anni precedenti, per loro è diventato più semplice ascoltare. Prima tutti avevano paura quando si parlava di terrorismo, di qualsiasi cosa si trattasse. Tutto veniva dichiarato terrorismo senza ragione. Allo stesso tempo c’erano poche voci che dicevano: »Aspettiamo cosa hanno da dire i curdi.« In occasione di un attacco bastava dire che veniva dai curdi. Oggi questo è molto più difficile. Da un lato ci ha aiutati anche il pubblico ministero. Abbiamo dichiarato fin dall’inizio che il Partito dell’Unione Democratica (PYD) e il PKK non sono la stessa cosa. Che nonostante riferimenti comuni si tratta di partiti diversi. Se il pubblico ministero avesse ritenuto che avevamo ragione, eventualmente avremmo avuto qualche difficoltà in più. Ma ha insistito sul fatto che »tutti appartengono al PKK«. E questo ha facilitato il nostro lavoro: come è spiegabile allora che gli statunitensi combattono sullo stesso fronte con il PYD? Il pubblico ministero era incastrato.

Le decisioni sul PKK a Bruxelles sul PKK possono essere considerate un cambiamento di direzione del diritto preso in ostaggio dopo gli attentati negli USA nel 2001?

È un processo importante perché solleva un problema di principio. Prima della Seconda Guerra Mondiale valeva il principio: ogni azione contro lo Stato è un atto criminale. La Seconda Guerra Mondiale e la lotta contro il fascismo hanno portato con sé soprattutto la dichiarazione sui diritti umani e insieme a questo altre cose. La resistenza contro uno Stato che opprime o occupa, è stata considerata legittima. La concezione di uno Stato del quale qualsiasi azione sia »buona« mentre le attività dei suoi avversari sono »azioni criminali«, si è modificata. Questo ha rafforzato le lotte contro lo sfruttamento. Con la Convenzione di Ginevra si è modificata l’interpretazione. È stato aggiunto un protocollo aggiuntivo che riguarda lotte interne/guerre civili. La dimensione del termine lotta interna è stata espressa in forma più ampia. La realtà di una guerra interna, lotte di liberazione e persone in lotta contro sfruttamento e tirannia sono state riconosciute. Con la guerra al terrorismo iniziata (dopo il 2001) sono un po’ sparite. Indubbiamente ci sono attività terroristiche, ma primi tra tutti gli statunitensi hanno iniziato a non distinguere più tra azioni terroristiche e lotta legittima contro regimi repressivi.

Hanno ripreso vecchie teorie e le hanno attuate. Organizzazioni come il PKK e quelle palestinesi, così vengono messe sulla lista. È iniziato con gli statunitensi, ma gli europei e altri li hanno seguiti. Con la sentenza in Belgio per la prima volta abbiamo gridato »attenzione«. Da un lato ci sono organizzazioni che fanno saltare in aria aeroporti e metropolitane, dall’altra organizzazioni fanno la guerra all’oppressione. Abbiamo chiesto un trattamento giuridico diverso… Io ritengo enormemente importante la protezione di questa differenza. Se un’organizzazione viene riconosciuta come »movimento non statale«, è tenuta al rispetto dei diritti umani internazionali. E io credo a un’ulteriore dimensione: se l’Unione Europea considera un movimento in guerra come »terrorista« allora non c’è alcun motivo di creare la pace. La pace si può sempre fare solo con l’altra parte nella guerra.

In questo senso si potrebbe dire che la lista dell’UE delle »organizzazioni terroristiche« impedisce la pace in Turchia?

Penso che abbia effetti negativi sulla pace. Questa lista spinge lo Stato turco non alla pace, ma alla guerra.

http://www.kurdistan-report.de/index.php/archiv/2019/68-kr-203-mai-juni-2019/835-wie-kam-es-zu-den-urteilen-zugunsten-der-pkk-und-wie-funktioniert-die-terror-liste

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