Sulle minacce di guerra contro Teheran, il movimento dei lavoratori in Iran e la prospettiva di una via socialista in Iran. Un colloquio con Bahram Ghadimi Lower Class Magazine – 16 luglio 2019
#Bahram Ghadimi è membro del collettivo iraniano “Andeesheh va Peykar” (Pensiero e Lotta). Il collettivo si considera prosecuzione di quel movimento critico che negli anni ’60 iniziò con la fondazione della »Organizzazione dei Mujaheddin del Popolo dell’Iran«, si sviluppo poi nei “Mujaheddin del Popolo-ML” e da ultimo è sfociata nella “Organizzazione della Lotta per la Libertà della Classe Lavoratrice (Peykar)”. Crisi interne e la repressione nella Repubblica Islamica tuttavia ridussero “Peykar” al silenzio. “Andeesheh va Peykar” fu fondato con l’obiettivo di trovare vie d’uscita e soluzioni per la situazione in Iran. Ha attraversato processi di riflessione teorica e si è concentrata sulla diffusione delle esperienze delle lotte del popolo palestinese, del movimento dei lavoratori latinoamericano e degli zapatisti in Messico.
Nei mesi passati si è inasprita sempre di più la retorica di guerra degli USA contro l’Iran. Pensi che un intervento militare sia realistico? Quale strategia segue Washington?
Prima di rispondere devo dire che non abbiamo discusso in modo approfondito questa questione all’interno del nostro collettivo. Ma anche questo mostra che non prendiamo ancora davvero sul serio la possibilità di una guerra. La sensazione che si arriverà effettivamente a una guerra, da noi ancora non c’è. Ma non siamo chiaroveggenti. Al momento dire se si arriverà a un intervento o meno, è speculazione pura. Noi non conosciamo le discussioni interne dell’amministrazione USA e del governo iraniano.
Le tensioni che attualmente esistono, sembrano svilupparsi piuttosto in direzione di negoziati. Si tratta del fatto che gli USA vogliono mettere l’Iran maggiormente sotto pressione per ottenere determinati vantaggi altrove. Può trattarsi della competizione tra Iran, Israele e Arabia Saudita per il predominio in Medio Oriente. Perché gli interessi economici di questo triangolo a volte coincidono – per esempio come succedeva tra Iran e Israele sotto lo Scià – più frequentemente però competono. Per questo penso che gli USA nella situazione attuale vogliano spingere l’Iran fuori da determinati territori: dalla Siria, dallo Yemen o anche dal Libano. Al momento mi pare che sia piuttosto questo l’obiettivo e meno una vera guerra. Nonostante questo dobbiamo sempre ricordare la famosa frase di von Clausewitz: La guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi.
Questo significa, anche lo Stato resta lo stesso, prima della guerra, durante e dopo. Ma che si arrivi o meno a una guerra aperta: entrambi gli Stati, sia gli USA sia la Repubblica Islamica, sono reazionari e vanno combattuti. E non solo quando inizia la guerra, ma ora!
Questa domanda però mi porta anche a un’altra riflessione. Quando ero ancora giovane, la prima cosa che ci veniva in mente quando parlavamo della guerra, era il Vietnam o la Corea, e in questo la questione della resistenza contro la guerra. Noi eravamo contro la guerra perché c’era una lotta di liberazione che sostenevamo. Lo stesso valeva per esempio per la lotta di liberazione in El Salvador e Nicaragua. C’era sempre un lato che aveva un momento emancipatorio. Dal crollo dell’Unione Sovietica e dall’indebolimento delle lotte di liberazione, su entrambi i lati il più delle volte ci sono interessi nazionali che tuttavia non hanno niente a che fare con le lotte di classe e momenti emancipatori. Il problema sta nella differenza qualitativa tra questi tipi di guerra e la loro commistione, ossia nel fatto che vengono confuse tra loro. Così a volte per esempio quando è iniziata la guerra dell’Iraq, molte persone di sinistra si sono schierate dalla parte di Saddam Hussein per sostenerlo contro l’imperialismo USA.
Come si posiziona la sinistra rivoluzionaria in Iran rispetto agli attacchi degli USA?
Questo dipende da qual è la parte di questa sinistra alla quale si pone la domanda. In Iran c’è una sinistra tradizionale, di cui effettivamente sono rimasti solo dei resti. In Iran dopo la sua distruzione, non esiste più nella forma di organizzazioni o partiti. All’estero ci sono gruppi che si rappresentano volentieri come se nel Paese avessero una base più grande.
In questo contesto voglio ricordare gli anni ’80 e la guerra tra Iran e Iraq. In quel periodo, quando è iniziata la guerra, esisteva un’opposizione al governo iraniano che andava presa sul serio, soprattutto da gruppi di sinistra. Ma c’erano anche gruppi che si definivano comunisti ma di fatto erano a favore della Repubblica Islamica, così come il partito Tudeh che faceva riferimento all’Unione Sovietica o i Fedayin del Popolo (Maggioranza). Questi effettivamente arrivarono fino a collaborare con la Repubblica Islamica e a fare le spie per suo conto. Quando si arrivò alla guerra, naturalmente erano dalla parte del governo. Ma non solo loro, anche molti maoisti, trotzkisti e i Mujaheddin del Popolo scivolarono in una specie di posizionamento nazionalista. Sostennero le forze armate iraniane o formarono loro associazioni indipendenti sul fronte contro l‘Iraq.
La politica in quel tempo era tale che almeno nei giorni della guerra, l’unica organizzazione più grande che ha boicottato la guerra era »Peykar«. La posizione di Peykar allora, era che il popolo iraniano non doveva entrare in guerre condotte da Stati reazionari contro le sue sorelle e i suoi fratelli iracheni. Per questo Peykar fu attaccata non solo dal governo, ma anche da altri della sinistra. Tra molti Peykaris probabilmente c’erano tante inclinazioni nazionaliste quante in altre organizzazioni. Solo che si trattava piuttosto di guardare a com’era il nostro rapporto con il popolo e quale con i potenti. Se nella lotta delle potenze si deve prendere una decisione tra la peste e il colera, naturalmente si può decidere per una parte. Oppure si sceglie la terza via e si dice: io sono contro la guerra e sono contro entrambi gli Stati!
Anche oggi, quando parliamo di imperialismo dobbiamo badare a riflettere su cosa sia esattamente ciò di cui stiamo parlando. L’imperialismo rappresenta una determinata forma di capitalismo. Quindi formulando diversamente sorge la domanda: da quale parte stiamo nella guerra tra lo Stato capitalista USA e lo Stato capitalista Iran? Comunque decidiamo, decidiamo in favore del sistema capitalista. Per questo penso che nel caso di una guerra del genere, la sinistra debba decidere se vuole prendere le parti del capitalismo o se si vedono forze nella società dalla cui parte si dovrebbe lottare.
Si potrebbe creare un ponte e chiedersi: cosa succede se inizia una guerra del genere? Allora ci si può anche decidere meglio. Da decenni il movimento operaio in Iran si muovesul terreno delle lotte difensive. In particolare dopo l’abbattimento del movimento di sinistra e di opposizione tra il 1980 e il 1988 con esecuzioni di massa e lo stato di emergenza, la società era quasi paralizzata.
Questa situazione si è mantenuta nel periodo di Rafsanjani, Ahmadinedjad e Mousavi, quando in Iran si sono imposte la privatizzazione e la neoliberalizzazione del capitale. Questo non riguarda solo il movimento di sinistra, ma anche le lotte dei popoli in Iran – arabi, beluci, turkmeni, curdi. Il governo iraniano ha sfruttato la guerra per denunciare tutti questi movimenti come Quinta Colonna del nemico e abbatterli. Negli ultimi 3- 4 anni però in Iran si sono sviluppati altri tipi di lotta.
Per questo direi, la sinistra in Iran, per quanto piccola possa essere, si è schierata e sta dalla parte della classe operaia. Il 1° maggio quattro organizzazioni– il sindacato degli autisti degli autobus di Vahed, il sindacato di Haft-Tapeh, l’Unione dei Pensionati e il comitato di Coordinamento per il Sostegno della Costruzione delle Organizzazioni dei Lavoratori – in un comunicato di 15 punti si sono pronunciate tra le altre cose contro qualsiasi guerra di occupazione contro tutti i popoli del mondo. Le altre richieste erano rivolte al proprio governo.
Tu hai parlato di forze nella popolazione al fianco delle quali lottare. Quali lotte ci sono concretamente al momento?
Come ho appena detto – le lotte sono diventate più offensive, nel senso che il movimento operaio attualmente si crea anche delle alternative. Può essere che le lavoratrici e i lavoratori di Haft Tapeh per impotenza rispetto alla loro situazione, siano passati a queste azioni, ma era diverso nel caso delle lavoratrici e dei lavoratori di Zanon, Impa, o Bruckmann in Argentina?
Le rivolte che sono iniziate nel dicembre 2017 e nel gennaio 2018 hanno aperto una nuova dimensione in Iran. Forse paragonabile al movimento dei gilet gialli in Francia. Non era solo la classe operaia a scendere nelle strade, ma anche coloro che erano sfruttati oltre misura e poi esclusi da tutto, quasi buttati via: i cosiddetti “lavoratori-usa-e-getta”. Questa classe è scesa in piazza soprattutto lo scorso anno e in questo era interessante che non avevano leader, nessun capo e neanche un‘organizzazione. Sono molto consapevole della necessità di un’organizzazione in una lotta lungo termine. Questo è anche il risultato di molte esperienze, tra l’altro del movimento zapatista in Chiapas. Senza un’organizzazione la resistenza nel sudest del Messico sarebbe impossibile.
Mentre in genere la non esistenza di un’organizzazione è uno svantaggio, in questo momento specifico in Iran era un vantaggio perché nessuno poteva mettere fine al movimento con arresti o corruzione. Questo movimento, che si era alzato proprio dal basso, oggi è come una brace che è sepolta sotto la cenere. Le sue esperienze sono entrate nelle lotte delle lavoratrici e dei lavoratori metallurgici di Ahvaz. Per la prima volta vediamo che le lavoratrici e i lavoratori di Ahvaz solidarizzano con gli insegnanti in sciopero a Teheran.
Poi ci sono lotte e scioperi nella produzione dello zucchero di Haft Tapeh nel sud dell’Iran e vediamo che molti dei loro passi tattici ricordano le lotte del lavoro in Argentina. C’è del materiale video dei leader di questo movimento di lavoratori, come per esempio il signor Bakhshi che attualmente si trova in carcere, che parla durante un’assemblea e propone l’occupazione della fabbrica. Parlano della costruzione di consigli e di modelli di organizzazione consiliare. Queste sono cose che in Iran qualche anno fa erano inimmaginabili.
Ora torniamo alla domanda su cosa succederà se inizia una guerra. In primo luogotutti questi movimenti verranno accusati di essere la Quinta Colonna dell’imperialismo USA. E verranno attaccati ancora più duramente. Così la guerra per il governo iraniano ha alcuni vantaggi per imporsi in modo ancora più duro contro la propria popolazione.
La sinistra internazionale deve decidere se vuole mettersi dalla parte di questi Stati o ribaltare la situazione dire: il nostro soggetto è la popolazione, per non limitarsi solo alla classe lavoratrice. I poveri, gli sfruttati, coloro che non formano l‘1% in alto. Con una prospettiva del genere poi non fa differenza se un Rafsanjani massacra la gente o se lo fa Bush, se è Trump o Rohani. Allora si tratta del fatto di costruire qualcosa dal basso. Indubbiamente la sinistra deve essere contro ogni genere di guerra di occupazione, contro qualsiasi tipo di sfruttamento, Apartheid e sessismo. Con questo voglio sottolineare che in questa situazione non c’è un lato peggiore. La nostra lotta contro le guerre di annientamento ha un suo timbro.
Cosa ti aspetti da una sinistra internazionalista in Germania?
Io credo che in Germania non si possa lottare solo come rappresentanti per l’Iran o il Kurdistan, il Messico o un qualsiasi Paese. Ma la Germania è anche corresponsabile delle guerre in Medio Oriente, per esempio se andiamo a guardare l’industria delle armi. Se vogliamo fare qualcosa qui, dobbiamo per esempio mobilitare contro Rheinmetall. La guerra inizia qui! Ma dobbiamo organizzarci anche contro la politica interna ed estera dell‘UE. Anche se nel caso di un attacco possiamo fare ben poco per la popolazione in Iran, dobbiamo opporci a queste guerre con ogni mezzo.
Per noi sono importanti i veri movimenti dal basso in Iran. Il movimento delle lavoratrici e dei lavoratori, le donne in lotta e i popoli in lotta, in Iran vengono massacrati ogni giorno, non solo da 40, ma da oltre 100 anni. Non ha fatto differenza chi era al potere, che fosse lo Scià o Khomeini, per la popolazione non cambiava nulla perché il sistema è sempre rimasto lo stesso sistema capitalista. Quindi o sosteniamo una parte in guerra contro l’altra senza toccare le condizioni sociali. Oppure sosteniamo una rivoluzione sociale, allora lì la guerra non ha posto.
#Intervista: Peter Schaber e Yoldas Paramaz
#Immagine: http://wpiran.org/english/four-sections-haft-tapeh-sugar-cane-workers-iran-strike-unpaid-wages-job-insecurity/
https://lowerclassmag.com/2019/07/16/die-usa-und-die-islamische-republik-sind-reaktionaer-und-muessen-bekaempft-werden/