E’ il secondo giorno della nostra missione in Iraq. Oggi abbiamo cercato di raggiungere Sinjar, percorrendo la strada Erbil, Mosul, trecento chilometri in mezzo a pianure e colline aride e senza vegetazione,u
campi di grano gia’ tagliati, case basse, alcune segnate dai bombardamenti del 2016 contro l’Isis. Percorriamo il ponte che sovrasta il Tigri; da Mosul ci sono ancora 180 chilometri per arrivare a Shengal.
Lungo la strada, numerosi posti di blocco affidati alle varie milizie: peshmerga del PDK, militari iracheni, milizie turkomanne e sciite (hochad shaby).
Siamo stati fermati, per controllo, in quasi tutti i ceck point, mentre quando siamo arrivati al posto di blocco, circa dieci chilometri dopo Mosul, ci hanno fermato per ben quattro ore, sotto il sole cocente di 40 gradi. Dopodiche’, ci hanno chiesto di consegnare i cdllulari, siamo risaliti in macchina e ci hanno scortato al Centro Army di Talah Far, passando addirittura attraverso un altro ceck point controllato dalle milizie sciitee, Hoshad Shaby.
E qui, in caserma, comincia la conferenza del comandante turcomanno: innanzitutto, ci ha detto che era impossibile proseguire, nonostante avessimo tutti i documenti in regola, con tanto di visto dell’Ambasciata dell’Iraq a Roma ( costo del visto cadauno ben 100 euro!); in secondo luogo, ha preteso che firmassimo, senza consegnarci copia, una lettera in arabo, dunque per noi incomprensibile, in cui ci impegnavamo a rispettare ulteriori normative non ben precisate, pena la non consegna dei telefonini, ne’ del passaporto con il fermo di tutti quanti i diciotto all’interno della caserma militare. La firma dovevano opporla tutti i partecipanti; in caso contrario, anche per la mancata firma di uno solo, nessuno sarebbe stato rilasciato.
Sotto questo pesante ricatto, la delegazione ha deciso di accettare firmando il documento, impegnandosi a rivolgersi all’Ambasciata e agli avvocati per la nostra tutela.
Rientrati nel territorio del governo regionale, abbiamo iniziato una serie di telefonate per trovare una soluzione per poter andare a Senjar. Da parte delle istituzioni italiane ed irachene nessuna risposta concreta, mentre siamo impegnati a trovare una soluzione alternativa, in quanto alla nostra missione umanitaria a Shengal non vogliamo rinunciare.
28 maggio
Oggi, abbiamo riprovato a raggiungere Shengal, percorrendo la strada Erbil – Mosul – Shengal. Ci hanno accompagnato due funzionari del governo iracheno. A questo punto, nessun problema ai ceck point delle varie milizie.
Superati tutti i posti di blocco, attraverso una pianura arida e brulla, senza alberi, che non ha visto una goccia d’acqua per un anno, con rari campi di grano, greggi sparse, case distrutte e polvere dappertutto, siamo arrivati al villaggio di Khamsour, dove era prevista l’ospitalita’ della delegazione presso il centro di accoglienza.
Lungo la strada, presso il villaggio di Hirdan, ci hanno indicato una delle oltre cento fosse comuni finora scoperte, con piu’ di centoventi resti umani, conseguenza dei crimini dell’Isis. Piu’ avanti, lunghe file d’immagini di martiri:a destra quelli delle donne, a sinistra, quello degli uomini, ultimo regalo delle bande nere jadiste. Al termine del pranzo offerto dalla Diplomazia
29 maggio
Associazione Verso il Kurdistan