Il viaggio in mare scappando dalla Turchia, l’arresto in Iran e i tre anni di carcere duro, la fuga con la moglie verso la Calabria in attesa di un permesso di soggiorno che non arrivava mai e l’acquisto di un passaporto illegale per arrivare in Germania. L’incredibile storia di Hikmet Aslan, un rifugiato politico curdo a Campobasso dal 2002, città che lo ha accolto e dove, con la sua associazione Primo Marzo, è impegnato in progetti che coniugano lavoro e politiche di tolleranza. “Non sono un uomo religioso, ma per me questo obiettivo è come una religione. L’immigrazione esiste da sempre, è nata con l’umanità, non è un fenomeno recente”.
di Valentina Di Biase
Campobasso. «Sono un rifugiato politico curdo emigrato nel 1999 dal Kurdistan turco; sono arrivato in Italia con una barca, partendo da Izmir (Smirne, Turchia) ho trascorso sette giorni in mare senza acqua né cibo prima di arrivare in Italia».
Hikmet Aslan vive a Campobasso dal 2002 e da allora cerca, anche attraverso l’associazione Primo Marzo Molise, di portare tolleranza e solidarietà tra culture differenti, avendo vissuto in prima persona i danni, psicologici e fisici, della discriminazione razziale.
«Il Kurdistan è una nazione che non esiste – spiega Hikmet – teoricamente si colloca nel centro della Mesopotamia ma da più di cento anni è vietata una propria identità, la lingua, la cultura. Dagli anni Settanta in poi ci fu una lotta armata per rivendicare i diritti e l’autonomia dei curdi a cui io ho preso parte. Il popolo curdo non viene accettato né dagli iracheni né dagli iraniani né dai siriani; i turchi ci considerano turchi di montagna, gli iracheni ci etichettano come arabi di montagna, gli iraniani ci chiamano persiani, noi vorremmo vedere riconosciuta la nostra etnia, senza doverci separare da questi popoli con cui viviamo. Non vogliamo uno stato curdo a sé, vogliamo vivere con tutti ma come persone libere di avere un’identità propria».
Dal Secondo dopoguerra in poi ci furono una serie di rivolte in Iran, Iraq e Turchia: le forze di resistenza curde rivendicarono la propria autonomia nel corso dei decenni subendo sanguinose rappresaglie e repressioni con armi chimiche e biologiche.
«Mi hanno arrestato in Iran e sono rimasto un anno sottoterra in una cella collocata sotto la caserma dei servizi segreti – continua Hikmet – dopodiché mi hanno scambiato con dei prigionieri politici in Turchia e sono rimasto in carcere per quasi tre anni. Quando mi hanno rilasciato e sono tornato alla mia libertà, mi sono sposato e sono scappato con mia moglie in Italia.
Siamo arrivati in Calabria nel 1999 e per quaranta giorni siamo rimasti nel Cpt, una sorta di carcere aperto dove le donne vivevano da una parte e gli uomini da un’altra; non si faceva niente, si litigava solo aspettando il permesso di soggiorno; quando ci fu consegnato, partimmo per la Germania pagando una persona 1800 euro in nero per farci accompagnare, perché non avevamo passaporto.
In Germania hanno accettato la nostra richiesta di asilo politico, lo Stato tedesco ci ha dato una casa più 800 marchi al mese per vivere e ogni sei mesi pagava anche per farci comprare i vestiti e i mobili. Siamo rimasti a Trier, vicino Colonia, per due anni ma io non riuscivo a viverci perché non avevo amici, non riuscivo a stringere dei legami sinceri di amicizia perché le persone erano fredde con noi.
Così ho deciso di ritornare in Italia insieme a mia moglie, ho annullato i miei diritti in Germania e, grazie a una persona di Campobasso, sono riuscito a trovare casa qui e dopo sei mesi anche il lavoro. Nel 2008, infine, sono riuscito ad avere la cittadinanza italiana».
Quanto è diversa Campobasso da Trier?
«Qui mi trovo benissimo, a differenza di Trier quello che mi piace di più di Campobasso sono proprio gli amici.
Ho moltissimi amici che spesso mi fanno dimenticare la nostalgia del mio Paese».
Ha qualche progetto che vorrebbe vedere realizzato in futuro?
«Più che progetti ho tanti sogni, vorrei accorciare le distanze tra gli immigrati e le persone del posto, vorrei far capire che non ci sono differenze tra noi e loro e un’amicizia sincera è possibile. L’immigrazione esiste da sempre, è nata con l’umanità, non è un fenomeno di adesso.
Con l’associazione Primo Marzo Molise cerchiamo di portare avanti questo progetto di tolleranza e a livello personale faccio quello che posso perché ci credo, anche se non sono un uomo religioso per me è come una religione».
Hai pensato anche a una eventuale candidatura per promuovere l’amicizia tra i popoli e le culture diverse a un livello più alto?
«Mi sono candidato diverse volte e diverse volte è andata male! In ogni caso anche se riuscissi a farmi eleggere potrei fare ben poco da solo, per cambiare davvero le cose c’è bisogno di tutti partendo insieme dal basso. La nostra associazione, ad esempio, sta cercando di aprire una cooperativa agricola e manifatturiera per aiutare le persone che non hanno lavoro. Il Comune ha stilato una lista di immigrati residenti a Campobasso, siamo 1022 provenienti da tutto il mondo, c’è tanto da fare!».
Tornerà mai a far visita alla sua patria? Pensa che possa migliorare la difficile situazione del suo popolo?
«Sono tornato due anni fa perché è morta mia madre, anche a rischio di farmi arrestare nuovamente. Ma tornare adesso per farmi una vacanza è escluso, non andrò mai. Aspetto il giorno in cui si adotterà finalmente una politica di tolleranza e antirazzista».
(Pubblicato il 09/03/2014)
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