Il 6 giugno 2014 a Lice, nel distretto di Diyarbakir, a sud est della Turchia nel cuore del Kurdistan, durante una manifestazione di protesta contro la costruzione di un avamposto militare i soldati hanno aperto il fuoco contro i manifestanti, ferendo decine di civili tra cui bambini e uccidendo due persone.
Al seguito di questo ennesimo episodio di brutale violenza da parte del governo di Erdogan nei confronti del popolo Kurdo, il Pkk (partito dei lavoratori del Kurdistan) dichiara una sospensione del processo di pace, nella quale ora, maggiormente, non ha più ragione di credere e chiede di potersi consultare a riguardo direttamente con Ocalan.
Da quarant’anni per la liberazione del Kurdistan il nostro popolo è in guerra contro l’autorità turca.Più volte, nel corso di questi quarant’anni, abbiamo chiesto una tregua di pace, insieme al nostro leader Abdullah Ocalan, rinchiuso in totale isolamento in un carcere speciale sull’isola di Imrali, dal febbraio del 1999, ormai da quindici anni.
La nostra prima richiesta di pace risale al 1990, la seconda al 1992, la terza al 1994, la quarta al 1997, la quinta al 1999, la sesta al 2003, la settima al 2011, l’ultima il 21 marzo del 2013. In tutte queste occasioni, nell’arco di 24 anni il governo turco ha risposto bruciando 4.000 villaggi, massacrando 70.000 civili e 17.000 guerriglieri, deportando circa due milioni di persone, imprigionandone e torturandone un incalcolabile numero, nell’ordine di più di centomila, tra civili di cui bambini, madri, avvocati, sindaci, insegnanti, medici, intellettuali, guerriglieri…
Alle continue richieste di pace del nostro popolo, il governo turco, nei fatti, ha sempre risposto con la più pervicace criminale violenza. Con la nostra ultima richiesta del 21 marzo del 2013, come sempre noi abbiamo rispettato tutti gli accordi, ritirando oltre il confine turco gran parte delle nostre forze partigiane.
Avevamo chiesto a Erdogan, come controparte, anzitutto che i nostri prigionieri politici e Ocalan fossero scarcerati, che la nostra lingua madre fosse introdotta nel sistema scolastico, che fossero istituite leggi a tutela del rientro dei guerriglieri… Nessuna di queste condizioni è stata minimamente rispettata.
Anzi, il nostro territorio è stato ancora devastato e molti villaggi sono minacciati da deportazione per via della costruzione di enormi dighe (come ad Hasankeyf, nel nord del Kurdistan turco) ed altre dighe sono in via di costruzione, sempre nelle zone considerate strategiche, dove forte è la cultura e la tradizione kurda…
E ancora, ulteriore militarizzazione con la costruzione di nuovi presidi militari turchi. E, proprio a Lice, nel cuore del Kurdistan, il popolo sa bene cosa questo possa significare: nel 2009 una bambina di nome Ceylan, venne ammazzata dai militari per scommessa, per gioco. Uccisa con un bazooka, per divertimento. Aveva tredici anni.
E sempre a Lice, l’anno scorso, nel corso di una manifestazione i militari sparavano sulla folla lasciando 14 feriti e un ragazzo di diciotto anni, di nome Medeni, ucciso.
Ed ora, 6 giugno 2014, altre due persone vengono assassinate e tante altre ferite.
Dopo l’ennesimo episodio di questa portata, in tutto il Kurdistan e anche in parte della Turchia, sono attualmente in corso manifestazioni di protesta e scontri, e altri morti e altri feriti… Mentre tutto l’Occidente, ancora una volta, tace.
Noi ci domandiamo, sconcertati, se questo assordante silenzio sia realmente dovuto ad una mancanza di informazione o piuttosto corrisponda ad una strategia… Forse siamo una minaccia per gli interessi dei governi dei vostri paesi?
A nome del nostro popolo,chiediamo solidarietà a tutti i popoli che non si riconoscano in tali criminosi interessi.
Il silenzio è complicità.
Rompiamo questo silenzio.
Associazione interculturale MED di Torino